Capire l’insurrezione in Kazakhstan

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  • L’insurrezione in Kazakhstan (CrimethInc.)
  • Kazakistan: La classe operaia tenta di trovare la sua voce? (Tendenza Comunista Internazionalista)
  • Dichiarazione degli anarco-sindacalisti e degli anarchici russi sulla situazione in Kazakistan (KRAS)
  • Kazakistan: scioperi e rivolte fanno vacillare il regime (Partito Comunista Internazionale)
  • In Kazakistan la classe operaia ha dimostrato cosa è capace di fare – E che farà (Partito Comunista Internazionale)

Presentazione di Guerra di Classe

Dopo l’accumulo di esperienze negli ultimi anni e soprattutto nel corso del 2021, con gli scioperi di Zhanaozen per esempio, la classe operaia insorge in Kazakistan, con una rivolta di massa innescata dall’aumento del 100% del prezzo del gas combustibile (che loro stessi producono), che significherebbe un aumento di tutti i mezzi di sussistenza. Man mano che le proteste si sviluppano, le richieste si ampliano.

Qui di seguito ci sono alcuni testi militanti che descrivono gli eventi e possono dare un’idea di ciò che è successo in Kazakistan. La pubblicazione di questi testi non significa in nessun modo la nostra approvazione di tutte le analisi sviluppate in essi, né tantomeno le posizioni programmatiche dei gruppi e degli individui che li hanno prodotti.

L’insurrezione in Kazakhstan
Un’intervista ed una valutazione

Fonte: https://it.crimethinc.com/2022/01/06/linsurrezione-in-kazakhstan-unintervista-ed-una-valutazione-1/

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Un’insurrezione a larga scala è scoppiata in Kazakhstan in risposta al costo crescente della vita ed alla violenza del governo autoritario. I dimostranti hanno preso il controllo delgi edifici governativi in molte parti del paese, specialmente ad Almaty, la città più popolosa, dove hanno temporaneamente occupato l’aeroporto e dato fuoco al palazzo del campidoglio. Mentre pubblichiamo questo pezzo, la polizia ha ripreso il controllo del centro di Almaty, uccidendo almeno una dozzina di persone, mentre truppe da Russia e Bielorussia arrivano per unirsi alla polizia nella soppressione delle proteste. è nostro dovere nei confronti delle persone che stanno subendo questa repressione quello di sapere perché si siano rivoltate. Nel report che segue, presentiamo un’intervista con un’espatriat* kazakh* che esplora cosa ha portato le persone in Kazakhstan a rivoltarsi – e quali implicazioni ha questa insurrezzione per l’intera regione.

“Quello che sta accadendo ora in Kazakhstan non è mai accaduto prima.

“Per tutta la notte ci sono state esplosioni, c’è stata la violenza della polizia contro le persone, ed alcune persone hanno bruciato le macchine della polizia, e con esse anche macchine a caso. Adesso le persone stanno marciando nelle strade principali e qualcosa sta accadendo vicino Akimat (il palazzo del parlamento).”

—L’ultimo messaggio ricevuto da un* nostr* compagn* in Kazakhstan, un* anarco-femminista ad Almaty, poco prima delle 4 del pomeriggio (ora dell’Est Kazakhstan) il 5 gennaio, prima che perdessimo i contatti.

Dovremmo capire l’insurrezione in Kazakhstan in un contesto globale. Non è semplicemente la reazione ad un regime autoritario. Chi protesta in Kazakhstan sta rispondendo agli stessi incrementi dei costi della vita contro cui le persone in tutto il mondo hanno protestato per anni. Il Kazakhstan non è certo il primo posto dove un incremento dei costi dei carburanti ha scatenato un’ondata di proteste – esattamente la stessa cosa è avvenuta in Francia, Ecuador, ed altrove nel mondo, sotto un vasto spettro di amministrazioni e forme di governo.

Quello che è significativo riguardo questa particolare insurrezione, allora, non è che è senza precedenti, ma che coinvolge persone che si stanno confrontando con le stesse sfide con cui noi ci confrontiamo anche, ovunque ci troviamo a vivere.

L’urgenza con cui la Russia si sta muovendo per aiutare la soppressione dell’insurrezione è anch’essa significativa. L’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva [CSTO], un’alleanza militare che comprende Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kyrgyzstan e Tajikistan – con la Russia che ha dato inizio alle danze – si è impegnata ad inviare forze in Kazakhstan. Questa è la prima volta che il CSTO ha impiegato delle truppe per supportare uno stato membro; aveva rifiutato di assistere l’Armenia nel 2021, durante il conflitto con l’Azerbaijan.

E’ istruttivo che la guerra tra Armenia e Azerbaijan non abbia giustificato l’intervento del CSTO, ma che un potente movimento di protesta lo abbia fatto. Come in altri progetti imperiali, la minaccia maggiore alla sfera di influenza russa (la “russosfera”) non è la guerra, ma la rivoluzione. La Russia ha considerevolmente approfittato della guerra civile in Siria e dell’invasione turca del Rojava, mettendo Siria e Turchia l’una contro l’altra per ottenere un punto d’appoggio nella regione. Uno dei modi che Vladimir Putin ha usato per mantenere il potere in Russia è stato quello di riunire i patrioti russi per supportarlo nelle guerre in Cecenia ed Ukraina. La guerra – la guerra permanente – è parte integrante del progetto imperiale russo, così come la guerra ha giovato al progetto imperiale americano in Iraq e Afghanistan. La guerra tiene in salute lo stato, per usare le parole di Randolph Bourne.

Le insurrezioni, dall’altra parte, devono essere soppresse con ogni mezzo necessario. Se i milioni di persone nella russosfera che languiscono sotto una combinazione di cleptocrazia e neoliberalismo vedessero un’insurrezione vittoriosa in qualunque di questi paesi, si affretterebbero a seguirne le orme. Guardando alle ondate di protesta in Bielorussia nel 2020 e in Russia un anno fa, possiamo vedere che molte persone sono inclini a fare ciò anche senza alcuna speranza di successo

Nelle democrazie capitaliste come gli Stati Uniti, dove le elezioni possono scambiare una banda di politici egoisti con un’altra, l’illusione stessa della scelta serve a distrarre le persone dall’agire per portare a un vero cambiamento. Nei regimi autoritari come Russia, Bielorussia e Kazakhstan, non ci sono illusioni del genere; l’ordine dominante è imposto tramite la sola disperazione e la forza brutale. In queste condizioni, tutti possono vedere che la rivoluzione offre l’unico modo per andare avanti. Senza dubbio, i governanti di quei tre paesi devono il loro potere all’onda di rivoluzioni che si sono avvicendate a partire dal 1989, portando alla caduta del blocco orientale. Non possiamo biasimare i loro sudditi per aver sospettato che solo una rivoluzione avrebbe potuto portare un cambiamento nelle loro condizioni.

Rivoluzione, ma a quale scopo? Non possiamo condividere l’ottimismo dei liberali che immaginano che il cambiamento sociale in Kazakhstan avverrà semplicemente cacciando via gli autocrati e tenendo elezioni. Senza profondi cambiamenti economici e sociali, ogni cambiamento meramente politico lascerebbe la maggior parte delle persone in balia dello stesso capitalismo neoliberale che le sta immiserendo oggi.

Ed in ogni caso, Putin non si arrenderà così facilmente. Cambiamenti sociali reali – nella russosfera così come nell’Occidente – richiederanno una lotta continua. Rovesciare il governo è necessario, ma non sufficiente: per potersi difendere contro future imposizioni politiche ed economiche, le persone comuni dovranno sviluppare un potere collettivo su basi orizzontali e decentralizzate. Non è un lavoro che può farsi in un giorno o in un anno, ma in una generazione.

Il contributo degli anarchici in questo processo è la proposta che le stesse strutture e le stesse pratiche che sviluppiamo nel corso della lotta contro gli oppressori dovrebbero anche servirci a creare un mondo migliore. Gli anarchici hanno già giocato un ruolo importante nell’insurrezione in Bielorussia, mostrando il valore dei network orizzontali e dell’azione diretta. Il sogno del liberalismo, di rifare l’intero mondo ad immagine e somiglianza degli Stati Uniti e dell’Europa occidentale, si è già dimostrato vuoto – gli Stati Uniti e l’Europa occidentale sono implicati in molte delle ragioni per cui gli sforzi per realizzare questo sogno sono falliti, in Egitto, in Sudan ed in altri posti. Il sogno dell’anarchismo rimane ancora da tentare.

In risposta agli eventi in Kazakhstan, alcuni supposti “anti-imperialisti” stanno ancora una volta ripetendo l’eterno discorso dei media di stato russi che tutta l’opposizione a qualunque regime alleato alla Russia di Putin può solo essere il risultato dell’intervento occidentale. Questo è particolarmente grave quando le nazioni nella sfera di influenza della Russia hanno in gran parte abbandonato ogni pretesa di socialismo, dandosi al tipo di politiche neoliberali che hanno scatenato la rivolta in Kazakistan. In un’economia capitalista globalizzata, in cui siamo tutti soggetti alle stesse logiche di profitto e precarietà, non dovremmo permettere a poteri mondiali antagonisti di metterci gli uni contro gli altri. Facciamo causa comune tra i continenti, scambiamoci tattiche, ispirazione e solidarietà per poter reinventare le nostre vite.

Le persone comuni in Kazakhstan che si sono sollevate questa settimana hanno mostrato quanto possiamo andare lontano – e quanta strada dobbiamo percorrere ancora insieme.

Forze russe in partenza per il Kazakhstan.

Lo sfondo dell’Insurrezione

All’inizio del 6 Gennaio (ora dell’Est Kazakhstan) dopo che vari blocchi di internet avevano reso impossibile completare un’intervista con i partecipanti al movimento ad Almaty, abbiamo condotto la seguente intervista con un sostenitore anarchic kazakho che vive all’estero.*

Per dare un contesto, che tipo di movimenti anarchici, femministi o progetti ecologici sono esistiti in Kazakhstan nel 21esimo secolo?

All’inizio, c’era un’opposizione al primo presidente ex-comunista, Nursultan Nazarbayev, che era finito a guidare il Kazakhstan nell’era post-sovietica. Da metà anni ‘90, ha cominciato a diventare più autoritario, cambiando le strutture di governance per acquisire maggiori poteri presidenziali. Questo ha portato Nazarbayev ad avere oppositori all’interno dell’elite politica di tutto lo spettro politico. Sorprendentemente, comunisti, socialdemocratici, centristi e gente pro-impresa hanno collaborato per chiedere una costituzione più democratica con un’autorità presidenziale limitata.

Per quanto riguarda i movimenti dal basso, c’erano gli anarchici, che erano più di un movimento clandestino, e c’era un movimento socialista, il cui leader è finito per lasciare il Kazakhstan. C’erano anche i nazionalisti e gli islamisti radicali, ma ancora una volta, non erano così popolari, erano movimenti troppo clandestini.

Per quanto riguarda gli ambientalisti, se ricevevano attenzione dall’opinione pubblica, questo riguardava principalmente i gruppi di sensibilizzazione (advocacy group nell’originale ndt). In Kazakhstan, solo qualcosa come sei partiti registrati hanno il permesso di partecipare alle elezioni; il resto viene semplicemente respinto. In ogni caso, ci sono un sacco di gruppi di sensibilizzazione.

Il governo non ha mai permesso a nessun reale oppositore di partecipare alle elezioni fin dagli anni 2000. I candidati hanno facce diverse ma gli stessi pensieri, affinché si possa mascherare l’ambiente politico come “competitivo”, in cui un uomo forte vince costantemente tutto il tempo – simile alla situazione in Russia, Bielorussia ed altri paesi dittatoriali post-sovietici.

C’è qualche partito di opposizione in Kazakhstan?

Riguardo ai partiti di opposizione, in pratica non ce ne sono in Kazakhstan. Partiti del genere c’erano negli anni ‘90 e negli anni 2000, ma sono stati tutti soppressi o vietati dal governo. Oggi ci sono persone che dichiarano di rappresentare l’opposizione, ma vivono all’estero in paesi come l’Ukraina. Non hanno nessuna reale connessione con la strada.

C’è anche un qualche tipo di rivalità tra di loro: li ho visto accusarsi l’uno l’altro di collaborare con il governo. Cercano di attirare i cittadini insoddisfatti nel fare cose che in realtà non pongono nessuna minaccia al governo, cose che danno l’illusione di star facendo un cambiamento, come dire alle persone di avere dialoghi pacifici con i poliziotti locali o di partecipare alle elezioni rovinando di proposito la scheda elettorale come forma di “protesta” contro le elezioni – qualsiasi tattica che dia l’illusione di stare lottando contro il governo – quando in realtà è una perdita di tempo.

Negli ultimi anni, questo tipo di opposizione ha cominciato ad apparire anche dentro il paese; venendo fuori dal nulla, c’erano questi attivisti a caso che formavano movimenti politici e tenevano picchetti senza fare esperienza di alcuna forma di persecuzione, mentre le persone comuni vengono sempre detenute dalla polizia immediatamente ogni volta che protestano.

Un gruppo di opposizione inusuale – non saprei dire se è un’opposizione controllata – si chiama Scelta Democratica del Kazakhstan. è guidato da un imprenditore che vive in Francia di nome Mukhtar Ablyazov. Se cerchi il suo nome, vedrai articoli su presunti casi di riciclaggio e di cause legali. Era un ministro negli anni ‘90; quando si è unito all’opposizione è stato incarcerato dal governo kazakho. è stato rilasciato, ma ha finito per andare via dal Kazakhstan e vivere in esilio. Da allora, ha guidato l’opposizione politica ricevendo maggior supporto dai social media. Quasi tutti coloro che sono associati al suo movimento sono stati perseguitati ed arrestati; questo accade fin dal 2017. Ogni protesta che lui ha organizzato dall’estero è stata repressa, con la presenza massiccia di polizia nelle aree pubbliche. Ci sono stati casi in cui la rete internet è stata spenta a livello nazionale.

In ogni caso, quello che sta accadendo ora in Kazakhstan è completamente inaspettato.

Qauli tensioni interne al Kazakhstan hanno preceduto questi eventi? Quali sono le linee di faglia nella società Kazakha?

Quello che ha fatto scattare la popolazione è successo nella città di Zhanaozen. Questa città ricava molti profitti dal petrolio, eppure la sua popolazione è tra le più povere del paese. La città è conosciuta per gli eventi sanguinosi del 2011, quando c’è stato uno scioepero dei lavoratori ed il governo ordinò alla polizia di sparare. Quella tragedia è rimasta nella memoria delle persone, specialmente dei residenti della città, e da allora ci sono stati vari scioperi minori nell’industria petrolifera – sebbene siano stati pacifici e non abbiano portato ad un bagno di sangue. Fin dal 2019, scioperi e proteste sono diventati comuni qui. Allo stesso tempo, a causa di fattori economici, le persone sono diventate più attive politicamente in tutto il paese, mentre i prezzi del petrolio sono crollati a livello mondiale, colpendo economicamente il Kazakhstan. Con il divenire sempre più debole della valuta kazakha, il Tenge, le persone potevano permettersi sempre meno.

Ci sono anche altri seri problemi in Kazakhstan: mancanza di acqua pulita nei villaggi, problemi ambientali, persone che vivono indebitate, corruzione e nepotismo in un sistema in cui ogni obiezione può essere facilmente spazzata via. La maggiorparte delle persone ha continuato a vivere in queste condizioni mentre l’economia serviva agli imprenditori miliardari kazakhi che avevano collegamenti con funzionari governativi ed altre persone di spicco. Nei primi anni 2000, le persone in Kazakistan hanno avuto un barlume di speranza mentre l’economia cresceva grazie alle riserve di gas naturale; come conseguenza, gli standard di vita di molte persone sono cresciuti. Ma tutto è cambiato nel 2014 quando i prezzi del petrolio sono crollati in tutto il mondo e la guerra con l’Ukraina ha portato a sanzioni contro la Russia – che hanno avuto impatto sul Kazakhstan – in quanto il paese è dipendente dalla Russia.

Ci sono state piccole proteste dal 2014 al 2016, ma sono state soppresse facilmente. Dal 2018 al 2019 sono cresciute, in parte anche grazie al già menzionato imprenditore di opposizione, Mukhtar Ablyazov, che ha usato i social media per guadagnare popolarità. Le proteste politiche e l’attivimo sono stati organizzati sotto la bandiera del partito di Scelta Democratica del Kazakhstan.

La situazione è peggiorata dopo il 2020, quando è arrivata la pandemia da Covid-19. Le persone hanno perso il lavoro; molti sono stati lasciati senza reddito per comprare beni, ricevendo pochissimo sostegno dal governo, mentre le restrizioni sanitarie hanno reso molte più persone frustate e diffidenti nei confronti del governo. E poi il prezzo delle merci ha cominciato a salire – specificamente per il cibo – questo è avvenuto ovunque nel mondo, ma in Kazakhstan ciò ha avuto un impatto considerevole.

Per tornare alla città di Zhanaozen, che ha una storia di massacri, il prezzo del gas liquido è schizzato alle stelle – nel posto stesso dove viene prodotto. Il costo è cresciuto costantemente negli ultimi dieci anni, ma alla fine è aumentato ancora di più quando il governo ha smesso di fornire sussidi, lasciando invece che decidesse il mercato.

C’erano già state piccole proteste su questo problema in quella città – ma il primo gennaio 2022, il prezzo per il gas liquido usato per far andare le autovetture è inaspettatamente raddoppiato. Questo ha fatto arrabbiare le persone. Hanno protestato in piazza in numero massiccio. Le forze dell’ordine sembravano esitanti nel disperdere le proteste. Altri villaggi nella provincia si sono sollevati ed hanno iniziato a bloccare le strade in segno di protesta. Poi, in pochi giorni, le proteste si sono diffuse a livello nazionale.

Quella che era partita come una protesta per l’aumento dei prezzi del gas è cresciuta in gran parte a causa dei problemi che ho menzionato prima. Questo ha motivato le persone a scendere in sciopero e nelle strade ancora di più.

Descrivi le diverse agende dei differenti gruppi da entrambe le parti della lotta. Ci sono fazioni o correnti identificabili all’interno delle dimostrazioni?

Per prima cosa, il governo ha ignorato il problema dei prezzi del gas cercando di far abituare le persone, persino incolpando i consumatori per la domanda alta. Alla fine, hanno abbassato il prezzo, ma questo non ha fermato le proteste. Dopo lo Stato ha sostanzialmente negato il proprio coinvolgimento nell’inflazione dei prezzi del gas – ma con l’intensificarsi delle proteste, il governo ha cominciato a concedere di più per cercare di calmare le persone. Ad esempio, si sono offerti di introdurre alcune politiche per offrire assistenza economica alle persone, dopo averle ignorate per anni.

Ma le proteste non si sono ancora fermate. Poche persone credono o supportano il governo. Le persone che stanno manifestando vogliono semplicemente una vita migliore, così come immaginano la abbiano le persone nei paesi europei sviluppati. Certamente ci sono richieste differenti da persone differenti – alcune mirano alle dimissioni dell’intero governo, mentre altri vogliono una nuova forma di governo democratico, nello specifico una forma parlamentare senza un presidente che abbia ruolo di esecutivo, ed altri ancora vogliono più posti di lavoro ed industria e migliori condizioni sociali.

Alcuni dei più feroci tumulti e saccheggi si stanno svolgendo nella vecchia capitale sovietica di Almaty, che è la metropoli finanziaria del Kazakhstan. Le persone stanno saccheggiando i negozi e gli danno fuoco. Hanno preso il controllo degli edifici locali del governo e li hanno dati alle fiamme.

Il governo ha contribuito a questa situazione, perché non ha adempiuto alle richieste di dimissioni e di formare un nuovo sistema politico democratico. L’attuale presidente del Kazakhstan, alleato stretto del precedente, nonché primo, presidente Nazarbayev, sta buttando benzina sul fuoco con il suo rifiuto di trasferire il potere.

Più a lungo rimane su questa posizione, più violenza ci sarà, in quanto né il governo né i manifestanti possono scendere a compromessi. Finché questa storia andrà avanti, le persone che stanno compiendo atti violenti saranno in grado di evitarne le conseguenze. Almaty al momento è senza legge; sembra che nessuno sia sicuro di chi sia in carica in questo momento, in quanto l’ufficio del sindaco è stato bruciato e lui è scomparso dalla scena pubblica. L’intera città è barricata con manifestanti armati che girano per le strade.

In teoria la città è sotto coprifuoco, ma in pratica le forze dell’ordine sono assenti oppure si sono uniti alle proteste – quindi da quanto ho sentito la città assomiglia ad una Comune [come la Comune di Parigi]

Presenta una cronologia degli eventi della scorsa settimana.

La protesta è iniziata nella città di Zhanaozen, produttrice di petrolio, il 2 gennaio. A partire dalla mattina successiva, altre città e villaggi nell’ovest del Kazakhstan hanno iniziato a protestare in solidarietà.

La protesta più massiccia si è svolta di notte mentre i disordini si sono diffusi in altre città, inclusa Almaty. Nella tarda nottata del 4 gennaio, le persone ad Almaty hanno marciato verso la piazza principale di fronte al municipio. C’erano grosse truppe di polizia schierate lì. Ci sono stati scontri, ma i manifestanti hanno avuto la meglio.

Sono stati dispersi nella prima mattina del 5 gennaio, ma si sono riuniti di nuovo verso le 9 di quella mattinata nebbiosa. Alcuni membri delle forze dell’ordine hanno persino cambiato lato della barricata e si sono uniti alla protesta. Alla fine, i manifestanti hanno marciato di nuovo verso la piazza intorno alle 10 del mattino e sono riusciti ad assaltare il municipio dando a fuoco l’edificio. Gli agenti di sicurezza governativi hanno lasciato Almaty, lasciando la città sotto il controllo dei manifestanti.

Da allora, sembra che il presidente abbia inviato di nuovo delle truppe nel tentativo di riprendere il controllo. Non so come si stia svolgendo la cosa, ma ho sentito che duranto la notte del 5 gennaio, o nel primo mattino del 6 gennaio, le persone hanno cominciato a saccheggiare e rubare armi, e si è parlato di sparatorie.

In altre città la situazione è più pacifica, con proteste massicce nelle piazze. Penso che i manifestanti abbiano preso il controllo degli edifici governativi locali in poche altre città, ma per quanto ne so, sono meno caotici se paragonati ad Almaty.

Nella capitale Nursultan la situazione è tranquilla, ma le persone hanno riportato di aver visto grandi numeri di polizia antisommossa circondare il palazzo presidenziale. In pratica l’intero palazzo presidenziale è bloccato.

In breve, tutto il Kazakhstan in questo momento assomiglia ad Hunger Games. Se hai visto la trilogia di Hunger Games o conosci a grandi linee la trama, sai di cosa sto parlando. Le persone stanno prendendo il controllo delle città una ad una. Di nuovo, il presidente non vuole andarsene e permettere all’opposizione di riformare il sistema. Quindi se questa cosa non succedde, mi aspetto che ci sarà ancora più caos finché il governo non sarà rovesciato o la protesta non sarà soppressa brutalmente.

Pensi che i partecipanti alle proteste abbiano dei punti di riferimenti nei movimenti di protesta che sono scoppiati in Francia, Ecuador ed altre parti del mondo in risposta all’aumento dei prezzi del carburante? Cosa informa le tattiche che stanno usando?

Penso che molti di loro siano influenzati dalle proteste che ci sono state in altri paesi post-sovietici come la Bielorussi e il Kyrgyzstan. Sembra che ad Almaty i residenti abbiano preso esempio dal vicino Kyrgyzstan, dove anche lì le persone hanno preso d’assalto il governo e bruciato edifici – ma se paragoniamo la situazione a quella del Kyrgyzstan, il governo è stato rovesciato più velocemente. Fino ad ora il Kyrgyzstan ha avuto tre rivoluzioni; considerando la sua stretta vicinanza ed i legami culturali con il Kazakhstan, visto che in entrambi i paesi si parlano lingue turche, penso che quell’esempio abbia avuto un ruolo significativo in Kazakhstan.

Che possibilità ci sono per quello che succederà dopo?

Dal mio punto di vista, posso immaginare un paio di scenari. O il governo si dimetterà – o verrà rovesciato – ed il Kazakhstan si avvierà sul sentiero della democratizzazione, o il governo sopprimerà l’insurrezione con un tremendo uso della forza, tra cui il coinvolgimento di altri paesi.

Il presidente del Kazakhstan, Kassym-Jomart Tokayev, ha chiesto al CSTO [L’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, un’alleanza militare che comprende Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kyrgyzstan e Tajikistan] di mandare soldati per operazioni di “peacekeeping”. In breve, il presidente sta invitando truppe straniere in Kazakhstan per reprimere le proteste. O i manifestanti armati in qualche modo scacciano queste forze ed il governo cade, oppure i rivoluzionari si arrenderanno e verranno schiacciati.

Il Kazakhstan ha di fronte un oscuro futuro. è una guerra per la libertà, oppure la disfatta. E la disfatta significherebbe una potenziale perdita di ancora più libertà e di sovranità.

Cosa possono fare le persone fuori dal Kazakhstan per aiutare chi partecipa alla lotta?

L’unico modo realistico per chi sta fuori dal Kazakhstan di aiutare è di portare ancora di più l’attenzione sugli eventi e forse organizzare qualche forma di aiuto.

Conclusioni: uno sguardo dalla Russia

Nel testo che segue, un* anarchic* russo riflette sulle implicazioni dell’insurrezione in Kazakhstan per la regione. Potete leggere una prospettiva da parte degli anarchici bielorussi qui.

Dopo decenni di repressione, fallimenti e sconfitte, ci domandiamo, la speranza sta sorgendo di nuovo, come abbiamo visto in Bielorussia, in Russia, in Kyrgyzstan ed ora in Bielorussia? Perché, dopo che i nostri parenti, amici e vicini sono caduti sotto i colpi della polizia o dell’esercito, le persone ancora continuano a lottare? Come può essere che abbiamo ancora la possibilità di sentire il vento del cambiamento e dell’eccitazione, che ci da un’assaggio di quello che le nostre vite potrebbero essere?

Possiamo sentire alcune risposte nei versi del musicista kazakho Ermen Anti della band Adaptation:

“Non importa quanto ci sparano, i proiettili non saranno abbastanza.
Non importa quanto ci schiacciano, tuttavia le piante
della giusta rabbia stanno germogliando.
Figli di Prometeo, che portano il fuoco alle persone che congelano al freddo.”

Quando guardiamo agli eventi del decennio passato in Kazakhstan, Bielorussia, Russia e Kyrgyzstan, dobbiamo chiederci cosa potrebbe realizzare a livello internazionale la cooperazione tra le iniziative ed i movimenti che lottano per la liberazione. Connessioni di questo tipo potrebbero permetterci di scambiarci esperienze politiche e culturali, per rafforzare la causa comune che le persone di questi paesi dovrebbero condividere. Eppure, in contrasto con quanto le realtà politiche ed economiche di questo paese sono interconnesse ed interdipendenti, i movimenti anarchici sono scollegati.

Il Kazakhstan può essere un esempio di ciò che può accadere domani in Russia, Bielorussia ed altri paesi in questa parte del mondo. Oggi, le persone in Russia temono per la loro vita quando pensano di esprimere qualsiasi forma di dissenso. Ma domani, possiamo vedere Zhanaozen e Almaty nella città della Russia, Bielorussia (di nuovo!) ed in altri paesi. Possiamo dimenticarci la rassicurazione del “Non può accadere qui” – ciò che può o non può accadere dipende per prima cosa da ciò che possiamo immaginare e desiderare.

Quando si verificano situazioni come quella che vediamo oggi in Kazakistan, possiamo vedere come sia importante essere connessi con gli altri nella nostra società. Oggi, siamo sorpresi – spesso potremmo anche non essere tra la gente nelle strade, lottando e difendendoci a vicenda spalla a spalla, o facendo altri tipi di lavoro importanti per supportare l’insurrezione. Per essere pronti e connessi, dobbiamo essere in grado di affrontare le contraddizioni all’interno delle nostre comunità e della nostra società nel suo insieme. Dobbiamo essere in grado di comunicare le nostre idee e portare proposte alle persone intorno a noi in situazioni come queste. Conflitti, disaccordi e isolamento stanno soffocando i compagni che altrimenti potrebbero dedicare la loro vita alla lotta. Quando mi chiedo di cosa abbiamo bisogno per vederci nelle strade e nelle case delle persone, camminare fianco a fianco, prendersi cura l’uno dell’altro e lottare insieme, mi immagino che ci avviciniamo gli uni agli altri in modi differenti – rendendo possibile per ciascuno di poter lottare, svilupparsi, sopravvivere.

Possiamo chiederci: di cosa abbiamo bisogno per cambiare il modo in cui ci approcciamo tra noi e con le altre persone, il modo in cui approcciamo le lotte ed i nostri movimenti, per poterli rendere una fonte di vita ed ispirazione che possano offrire alle persone modi di pensare, lottare e vivere?

Per esempio, ci ricordiamo il movimento femminista in Kazakhstan, che è stato al centro dell’attenzione e del discorso pubblico per alcuni anni negli anni ‘10 del duemila, che ha pubblicato una rivista femminista e portato alla luce argomenti in Kazakhstan come nessuno aveva mai fatto prima, connettendo un sacco di gruppi e comunità sulla linea di faglia della violenza domestica e del patriarcato. Questo è un esempio di come possiamo posizionarci per rispondere a problemi che ci connettono ad una fascia più ampia di altre persone nelle nostre società.

Noi nelle ex repubbliche sovietiche abbiamo un’impressionante eredità di resistenza e rivolte a cui attingere. Abbiamo bisogno di connetterci tra di noi per poter accedere a questo patrimonio.

Solidarietà e forza a chiunque stia lottando in Kazakhstan ed in tutti i paesi post-sovietici. Come dice il detto, i cani possono abbaiare ma la carovana deve andare avanti. Oggi, possono camminare sulle nostre teste, ma la lotta non si fermerà, ed i caduti nelle strade di Almaty non saranno dimenticati.

Kazakistan: La classe operaia tenta di trovare la sua voce?

Fonte: https://www.leftcom.org/it/articles/2022-01-09/kazakistan-la-classe-operaia-tenta-di-trovare-la-sua-voce/

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Il 2 gennaio, in risposta a un improvviso aumento dei prezzi del gas, sono sorte proteste e blocchi nella città petrolifera di Zhanaozen, nella regione di Mangistau, nel Kazakistan occidentale. La rivolta si è ora diffusa in tutto il paese, compresa Almaty, la più grande città del paese, e Nur-Sultan [Astana], la capitale.

Ha costretto l’attuale presidente, Kassym-Jomart Tokayev, a licenziare il suo governo, dichiarare lo stato di emergenza e annullare l’aumento dei prezzi del gas (per sei mesi). Nonostante questo, i disordini continuano. Tokayev ha ora bollato i manifestanti come “banditi” e “terroristi”, dandogli una scusa per chiamare le truppe dell’alleanza CSTO (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva) a guida russa come forza di “mantenimento della pace”, e ha reso chiaro che la forza letale, cioè che si sparerà per uccidere, sarà usata per riportare l’ordine.

A causa di un blackout internet imposto dallo stato, è difficile raccogliere informazioni esatte sulla situazione man mano che procede. Ma finora decine di manifestanti sono stati uccisi dallo stato.

Tokayev è il successore scelto personalmente da Nursultan Nazarbayev, l’ex primo ministro dell’SSR kazako e il primo presidente del Kazakistan, che, nonostante il crollo del blocco orientale, ha continuato a governare il Kazakistan dietro le quinte fino ad ora. Come altri ex satelliti dell’URSS, il Kazakistan, ora formalmente indipendente, ha gradualmente rivisto la sua industria passando dalla proprietà statale al settore privato. Rimane economicamente e politicamente legato alla Russia, ma, in accordo con la sua politica estera “multivettoriale”, è rimasto aperto agli investimenti di Cina, USA e UE. Nazarbayev è stato in grado di assicurare un certo grado di relativa pace sociale durante gli ultimi tre decenni, in gran parte finanziata dalle lucrative riserve di petrolio, gas, carbone e uranio del paese.

Dal 2015 il governo sta portando avanti una riforma del mercato dei carburanti, e dall’inizio del 2022 ha completato la transizione al commercio elettronico per il GPL (gas di petrolio liquefatto), rimuovendo i limiti di prezzo statali. Questo avrebbe dovuto affrontare le carenze interne di GPL (usato dalla maggioranza dei kazaki per alimentare le loro auto), invece ha raddoppiato il prezzo durante la notte nelle stazioni di servizio in tutto il paese, scatenando la più grave sfida al regime dall’indipendenza del paese.

L’attuale ondata di proteste è iniziata a Zhanaozen. Questo è significativo, perché è in questa città che nel dicembre 2011 il regime ha inviato la polizia per sedare una serie di scioperi dei lavoratori del petrolio che chiedevano aumenti di stipendio. Secondo fonti ufficiali, almeno 16 lavoratori sono stati uccisi durante la repressione di questi scioperi, anche se il numero reale è probabilmente molto più alto. Ne abbiamo scritto all’epoca.

Più di recente, i bassi salari, l’inflazione e la disoccupazione, esacerbati dalla pandemia, hanno portato a crescenti agitazioni sindacali nella regione, al punto che “nella prima metà del 2021, in Kazakistan ci sono stati più scioperi che nell’intero periodo dal 2018 al 2020.”

Non sorprende quindi che dopo l’inizio delle attuali proteste, “nella notte tra il 3 e il 4 gennaio, è iniziato uno sciopero a gatto selvaggio nelle imprese Tengiz Oil,” e da allora si è diffuso nelle regioni vicine. Ci sono video di lavoratori che escono spontaneamente e fanno riunioni di massa. Sui mercati internazionali ci sono già preoccupazioni su come questo influenzerà l’esportazione di petrolio e di minerale di uranio. Ma l’oscuramento di internet rende ancora più difficile scoprire cosa sta succedendo esattamente sul terreno e quanto siano realmente diffusi questi scioperi.

Quello a cui stiamo assistendo è senza dubbio un’altra manifestazione della crisi globale di un capitalismo stagnante. Questa crisi ha radici lontane nel tempo e va oltre l’aumento del prezzo del gas. Le proteste sono una risposta al peggioramento della situazione della classe operaia, il tutto in un paese dove “162 persone dispongono di una ricchezza personale superiore ai 50 milioni di dollari, il che equivale a circa il 50% della ricchezza totale della popolazione.”

Il movimento sta assumendo forme politiche e altre richieste sono già state sollevate, tra cui “la riduzione dei prezzi degli alimenti, l’adozione di misure contro la disoccupazione, la soluzione alla carenza di acqua potabile, le dimissioni del governo e delle autorità locali.”

È difficile non vedere somiglianze con l’attuale situazione della classe operaia in Iran, dove da giugno circa 100.000 lavoratori dell’industria petrolchimica sono in sciopero, in risposta a salari e condizioni scadenti, alla militarizzazione del lavoro, alla diffusione incontrollata della Covid-19 che colpisce più duramente i lavoratori, e a una siccità indotta dal cambiamento climatico che ha portato a rivolte per la mancanza d’acqua. Abbiamo coperto questa sollevazione della classe operaia per la seconda metà del 2021, dove i lavoratori stanno dimostrando eccellenti capacità di leadership nel dirigere la loro lotta.

I problemi affrontati dai lavoratori in Kazakistan non sono quindi unici, limitati al loro paese, e sono condivisi dai lavoratori di tutto il mondo, che condividono anche la capacità e talvolta, come vediamo in Iran, la volontà, di reagire come classe.

Le concessioni iniziali da parte del governo sembrano non aver funzionato come previsto, così è passato a ciò che conosce meglio: la forza bruta. In un discorso televisivo alla “nazione” il 7 gennaio, Tokayev è stato molto chiaro:

“Coloro che non si arrendono saranno eliminati… le forze dell’ordine e l’esercito hanno ricevuto da me l’ordine di sparare per uccidere senza preavviso.”

Come in Bielorussia – o anche in molte altre rivolte degli ultimi anni – quello che stiamo vedendo è un movimento dove la classe operaia gioca un ruolo chiave ma dove non è lei a comandare. Prima che il movimento in Bielorussia fosse affogato nelle repressioni, avevamo avvertito:

“Come di solito accade, le ragioni materiali che hanno costretto i lavoratori a scendere in piazza sono legate al peggioramento della crisi economica, alle precarie condizioni di vita e di lavoro… In assenza di un programma comunista radicato nei settori più coscienti del proletariato (che di per sé non garantisce che la classe stessa possa superare il disorientamento in cui lo stalinismo e il sistema post-stalinista l’hanno lasciata) la classe operaia è preda dei ‘creatori di consenso’ professionisti schierati dalla borghesia per proteggere i propri interessi. Una volta ottenuto questo, la nostra classe si trova di fronte solo alla repressione aperta e brutale.”

Quindi, come sempre, dobbiamo ripetere: “senza il partito rivoluzionario, ogni rivolta si esaurirà all’interno del sistema.”

Se la classe operaia non riesce a proporre il proprio programma e la propria organizzazione, altre forze riempiranno sicuramente il vuoto: siano esse liberali o nazionaliste. Il nostro compito come militanti comunisti è quello di cercare di evidenziare esempi di militanza della classe operaia come quelli che stiamo vedendo in Kazakistan, e di cercare di raggiungere i lavoratori in Kazakistan con un messaggio che rifiuta la subordinazione della classe operaia ad altri partiti, e che chiede alla classe operaia di agire indipendentemente come classe per proporre il proprio programma.

Questo è necessario affinché nella futura lotta globale della nostra classe, essa possa cogliere coraggiosamente il momento, piuttosto che essere vittima della repressione e delle ciniche macchinazioni della borghesia.

Solidarietà alla classe operaia del Kazakistan e di tutti i paesi!

Felix (IWG) e Dyjbas (CWO), 7 gennaio 2022

Dichiarazione degli anarco-sindacalisti e degli anarchici russi sulla situazione in Kazakistan

Fonte: https://www.aitrus.info/node/5887/

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Gli anarcosindacalisti e gli anarchici della Russia esprimiamo la piena e totale solidarietà con la protesta sociale del popolo lavoratore del Kazakistan, e inviamo nostri amichevoli saluti!

L’attuale esplosione della protesta sociale in Kazakistan, una delle più eccezionali e brillanti dall’inizio del nuovo secolo, è diventata l’apogeo di un’ondata di scioperi dei lavoratori del petrolio e di altre categorie di lavoratori del paese, proseguita senza soste dalla scorsa estate.

I lavoratori del Kazakistan si sono gradualmente ripresi dal terribile massacro di proletari perpetrato dal regime dittatoriale di Nazarbayev nel 2011 e hanno iniziato a rivendicare costantemente salari più alti e la possibilità di formare sindacati e altre associazioni di lavoratori. La povertà della maggior parte della popolazione, lo sfruttamento più brutale del lavoro, l’aumento dei prezzi, l’oppressione quotidiana e la repressione hanno reso la situazione dei lavoratori insopportabili e li hanno costretti a insorgere.

L’ultima goccia è stata il licenziamento di decine di migliaia di lavoratori del petrolio nel dicembre 2021, l’imposizione della dittatura “sanitaria” con il pretesto di “combattere la pandemia” e l’aumento draconiano dei prezzi del gas.

Il 3 gennaio, uno sciopero generale dei lavoratori è iniziato nella regione del Mangistau, che presto si è diffuso in altre regioni del paese. Nell’ex capitale del Kazakistan, Almaty, sono scoppiati scontri tra manifestanti e forze dell’ordine e ci sono stati decine se non addirittura centinaia di morti e feriti. Durante le proteste, gli strati più deboli, specialmente i giovani disoccupati e i migranti interni, hanno compiuto atti di espropriazione popolare, distruggendo molti grandi centri commerciali, negozi e filiali di banche. In diverse occasioni, le truppe hanno rifiutato di aprire il fuoco sui rivoltosi.

La protesta nel paese è spontanea e non coordinata, quindi i manifestanti propongono una varietà di slogan e rivendicazioni spesso contraddittorie. Come anarchici, sosteniamo principalmente quelli che hanno un orientamento chiaramente e inequivocabilmente sociale e distinguono nettamente lo sciopero e la rivolta in Kazakistan dalle numerose proteste post-elettorali e dalle rivolte politiche degli ultimi anni. Queste richieste si sono diffuse attraverso i raduni dei manifestanti e i reti sociali: abolizione degli aumenti dei prezzi del gas; aumento dei salari al 100%; abolizione dell’aumento dell’età pensionabile; adozione di misure per combattere la disoccupazione; abolizione della vaccinazione forzata contro il COVID-19, le errate e misure di segregazione discriminatorie, ecc.

Nel tentativo di porre fine alla rivolta sociale e guadagnare tempo, il regime, spaventato, è stato costretto a fare concessioni: annunciare prezzi del gas più bassi, congelare i prezzi dei beni “socialmente necessari” per 180 giorni, dimissioni del governo e rimozione del dittatore miliardario Nazarbayev como capo del Consiglio di sicurezza kazako. Ma niente di tutto questo è servito. Le compagnie petrolifere occidentali hanno insistito affinché il presidente Tokayev ripristinasse l’ordine capitalistico. I governanti del paese hanno imposto lo stato di emergenza e il coprifuoco, hanno vietato manifestazioni e scioperi e hanno lanciato operazioni punitive contro manifestanti e rivoltosi, versando fiumi di sangue e arrestando migliaia di persone.

Su richiesta del regime kazako, truppe di diversi paesi del blocco politico-militare, guidato dalla Federazione Russa, sono state introdotte nel paese per reprimere le proteste sociali. Sono destinati a fungere da gendarmi per il Capitale Mondiale e a spegnere le fiamme della ribellione sociale prima che il suo esempio, gli slogan e le richieste si diffondano in altri paesi sommersi da scioperi dei lavoratori e dalla proteste di massa contro la pervasiva dittatura “sanitariana” e il suo apartheid.

Noi, anarco-sindacalisti e anarchici russi, condanniamo fermamente qualsiasi repressione delle proteste sociali del popolo lavoratore del Kazakistan e il vergognoso intervento straniero controrivoluzionario guidato dal Cremlino.

Condanniamo qualsiasi tentativo dei politici di tutte le tendenze di usare la protesta sociale dei lavoratori kazaki per scalare i vertici del potere e dividere la proprietà a proprio favore.

Ci schieriamo fermamente, risolutamente e senza la minima esitazione dalla parte dell’attuale ribellione sociale in Kazakistan e invitiamo i lavoratori della Russia e del mondo intero a mostrare solidarietà pratica con essa.

SODDISFARE LE RIVENDICAZIONI SOCIALI DEI LAVORATORI KAZAKI!

BASTA CON LO SCHIACCIAMENTO E LA REPRESSIONE DELLE PROTESTE IN KAZAKISTAN!

LIBERTÀ PER TUTTI I MANIFESTANTI ARRESTATI!

NO ALL’INTERVENTO STRANIERO!

VERGOGNA PER GLI INTERVENTISTI!

Iniziativa anarchica StopTotalControl

Commissione d’informazione della Confederazione degli anarco-sindacalisti rivoluzionari – Sezione regionale russa dell’Associazione internazionale dei lavoratori.

Kazakistan: scioperi e rivolte fanno vacillare il regime

Fonte: https://www.pcint.org/01_Positions/01_02_it/220110_kazakistan.htm

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Il movimento di protesta e di rivolta che da una settimana colpisce il paese è stato innescato dall’improvvisa decisione delle autorità di raddoppiare il prezzo di gas e benzina; non appena è stato dato questo annuncio, domenica mattina, 2 gennaio, sono iniziate le proteste di lavoratori e disoccupati nella città petrolifera di Janaozen, nella parte occidentale del paese (regione di Mangystau) (1).

Durante la giornata, azioni di protesta (assembramenti, sit-in ecc.) hanno raggiunto la grande città portuale vicina di Aktau per chiedere il ritiro degli aumenti – o il raddoppio dei salari!

Il giorno successivo la protesta ha continuato a diffondersi nonostante il dispiegamento della polizia e sempre più aziende hanno dovuto cessare il lavoro; i social network trasmettevano scene di fraternizzazione tra agenti di polizia e manifestanti.

Il 4 gennaio, nonostante il prefetto (l’“akim”) e il ministro dell’Energia abbiano annunciato il calo del prezzo di gas e benzina per gli abitanti, lo sciopero è stato pressoché generalizzato in tutta la regione (oblast) di Mangystau, dove si concentra una parte importante di industrie estrattive. Sempre il 4 gennaio, in tutto il paese, anche i minatori della regione di Karaganda scendevano in sciopero, mentre proteste e blocchi si sono diffusi in gran parte del Kazakistan. In più luoghi i manifestanti hanno attaccato i simboli del regime: statue dell’ex autocrate Nazarbayev che continua a tirare le fila come presidente a vita del “Consiglio di sicurezza nazionale”, edifici ufficiali e persino stazioni di polizia. Al centro degli slogan c’era la cacciata di Nazarbayev e delle sue creature (tra cui Tokaïev, l’attuale presidente).

Il regime ha risposto da un lato licenziando il governo e lo stesso Nazarbayev e dall’altro dichiarando lo stato di emergenza; ha scatenato una sanguinosa repressione, soprattutto nella capitale economica Almaty nella notte tra mercoledì e giovedì (più di cento morti secondo il ministero della Salute). Di fronte all’esplosione sociale, il presidente ha chiesto aiuto alla Russia, aiuti concessi immediatamente: venerdì 7 gennaio sono arrivati 3mila soldati russi, affiancati da un manipolo di militari di altri paesi. Lo stesso giorno Tokayev ha dichiarato in televisione di aver “dato l’ordine di sparare per uccidere senza preavviso”. Sabato i giornalisti ad Almaty hanno riferito ancora di sparatorie in alcune parti della città, ma il presidente ha affermato che l’ordine costituzionale è stato ripristinato. È stato ristabilito nel sangue, secondo le stesse autorità: il 9 gennaio il bilancio ufficiale della repressione è stato di oltre 160 manifestanti uccisi dai proiettili, di diverse migliaia il numero dei feriti e di 6.000 arresti.

Questo “ordine” è l’ordine capitalista, sancito da tutti gli imperialismi; se la Cina, in un messaggio di Xi Jinping, si è congratulata con Tokayev per le “misure forti” prese per sedare la rivolta, i più ipocriti imperialismi occidentali hanno chiamato “tutte le parti” a “trattenersi”, mettendo sullo stesso piano i manifestanti e le forze assassine di repressione; nessuno ha protestato contro l’intervento russo. È perché il Kazakistan, ricco di petrolio e altri minerali, ha registrato importanti investimenti da parte di società occidentali, comprese quelle americane: tutti temendo disordini sociali che potrebbero mettere a rischio il proprio capitale, vedono nell’intervento russo una garanzia contro questo pericolo…

Il Kazakistan, paese geograficamente grande ma scarsamente popolato (19 milioni di abitanti) e che occupa una posizione strategica nell’Asia centrale, da diversi anni ha conosciuto una forte crescita economica, basata principalmente su petrolio e gas (nonostante alcune battute d’arresto nel suo sogno di diventare il Kuwait dell’Asia centrale), ma anche sull carbone o sull’uranio (di cui è il maggiore produttore mondiale). Aveva anche colto l’occasione per liberarsi dalla dominazione russa; si era avvicinato alla Cina e all’Occidente, firmando tra l’altro un accordo militare con l’Italia, che fu uno dei suoi primi clienti, poi con gli Stati Uniti; si era anche avvicinato alla Turchia integrando l’“Organizzazione degli Stati turcofoni”, alleanza embrionale dei paesi di lingua turca dell’ex URSS con Ankara. Il 6 gennaio il presidente turco Erdogan ha telefonato a Tokayev per assicurargli il suo sostegno e offrirgli “la sua esperienza e la sua competenza tecnica”; ma l’esperienza e la competenza del padrino russo sono di gran lunga superiori…

I proletari non hanno beneficiato per niente della prosperità economica; il regime ha continuato a usare la repressione contro tutti i tentativi di lotta e di organizzazione indipendente dei lavoratori; la brutalità e le brutalità della polizia sono correnti. Nel 2011 ha brutalmente represso a Janaozen lo sciopero dei lavoratori petroliferi per il miglioramento delle loro condizioni: la polizia ha sparato sui manifestanti in sciopero, uccidendo non meno di 16 persone. Alcuni analisti, anche in Occidente, affermano che gli attuali disordini sono almeno in parte causati dalle rivalità all’interno del regime.

È del tutto possibile che ci siano tentativi di regolare i conti tra le cricche borghesi a favore degli avvenimenti attuali; ma è innegabile che la loro causa sia la situazione sempre più intollerabile dei proletari e dei ceti poveri, in una situazione di crisi economica che sfocia nei licenziamenti (40.000 licenziamenti nel giacimento di Tengiz a dicembre, altri sono previsti) e nell’inflazione (ufficialmente 8 % ma in realtà molto di più).

Il carattere proletario della rivolta è dimostrato, se necessario, dal fatto che essa faceva parte di un movimento di sciopero sulle richieste di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e di aumento dei salari. I democratici piccolo-borghesi indicano ai proletari l’obiettivo di un “Kazakistan democratico” libero dalla cricca dominante; alcuni pseudosocialisti, come i neostalinisti del “Movimento socialista del Kazakistan”, chiedono un ritorno alla Costituzione del 1993, che dovrebbe essere più democratica.

Ma non è per un semplice cambiamento di facciata del regime che i proletari devono combattere, perché, lasciando intatto il modo di produzione capitalista, un tale cambiamento non modificherebbe la loro sorte. La lotta per le libertà politiche e sindacali è senza dubbio necessaria, ma a condizione che faccia parte della lotta contro il capitalismo che li sfrutta e li riduce alla miseria. Solo la lotta di classe del proletariato può avere la forza di porre fine al capitalismo, unendo i proletari oltre confine: questo è ciò che temono i democratici borghesi e piccolo-borghesi…

L’attuale esplosione sociale ha fatto vacillare il regime, ha mostrato il potenza della classe operaia e la gravità delle tensioni sociali accumulate sotto il capitalismo; domani la lotta rivoluzionaria dei proletari del Kazakistan, della Russia e di tutti i paesi, sotto la guida del loro partito di classe internazionale, rovescerà tutti i regimi capitalisti assassini e vendicherà le loro innumerevoli vittime.

Mentre la crisi economica spinge inesorabilmente i proletari alla rivolta, è questa la prospettiva che deve guidarli nelle loro lotte, in Kazakistan e ovunque!

(1) Abbiamo ripreso le informazioni dal sito socialismkz.info

Partito comunista internazionale (il comunista)
10 gennaio 2022
www.pcint.org

In Kazakistan la classe operaia ha dimostrato cosa è capace di fare
E che farà

Fonte: https://www.international-communist-party.org/Partito/Parti414.htm#Kazakistan

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Le masse proletarie del Kazakistan si sono rese protagoniste di una coraggiosa rivolta, che ha scosso dalle fondamenta l’ordine borghese nel paese.

Anche se queste giornate si sono concluse in una carneficina. Il vertice dell’apparato statale, incapace di fare fronte alla forza d’urto dispiegata dai lavoratori, per sedare la rivolta è dovuto ricorrere all’intervento straniero. Per ristabilire l’ordine è stata necessaria la mitraglia e una pioggia di piombo. A sparare senza requie sui proletari kazaki insorti sono state dapprima le forze armate della loro borghesia. Poi, quando queste non bastavano – a dimostrazione di quanto poco “nazionale” sia ogni esercito borghese – sono intervenute le truppe dei sei paesi dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto) – Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan – che non hanno risparmiato munizioni per ristabilire col terrore la “normalità” dello sfruttamento capitalistico.

La borghesia, di fronte alla perdita del controllo su di un mondo che ha deformato a propria immagine e somiglianza, ha dimostrato di non avere altre risorse che il terrore e la menzogna per tenere soggiogati i lavoratori, messi con le spalle al muro dal peggioramento delle loro condizioni di vita. Per tenere in piedi l’edificio fatiscente dell’ignobile regime del capitale la borghesia assassina somministra menzogne incredibili a un pubblico già pasturato da decenni di rappresentazioni sempre più caricaturali e fantastiche del mondo reale.

Così i cortei di operai usciti dagli stabilimenti e le manifestazioni imponenti di proletari accorsi dalle periferie nel cuore di molte di città del paese per prendere d’assalto i palazzi istituzionali, sono diventati “terroristi” per il presidente Qasym-Jomart Toqaev, che non ha esitato a dare l’ordine di sparare senza preavviso per uccidere chiunque osasse sfidare il divieto di manifestare e il coprifuoco imposto in tutto il paese dopo i primi giorni della rivolta.

Il mito del complotto, onnipresente in questi anni di agonia dell’ordine capitalista mondiale, è stato riproposto ignobile: per i governanti kazaki, per i loro compari russi e cinesi e per gli innumerevoli gruppi politici ispirati al decomposto stalinismo, la rivolta sarebbe stata ordita da potenze straniere e organizzata da terroristi provocatori giunti dall’estero e ben addestrati.

Terroristi provenienti dall’estero, armati di tutto punto e ben addestrati, sono arrivati davvero in Kazakistan, inquadrati nelle truppe regolari dei confinanti capitalismi. Non per sostenere la rivolta però, ma per soffocarla nel sangue. I 3.000 soldati russi, insieme con altre centinaia provenienti dai paesi del Csto, nel momento più acuto della rivolta hanno difeso le installazioni e i palazzi del potere, oltre che la sicurezza degli elementi più in vista del regime politico e della borghesia.

Vari elementi concorrono a togliere ogni credibilità alla tesi di una messinscena programmata da potenze straniere, o da gruppi organizzati kazaki ispirati da ideologie nazionaliste o islamiste, allo scopo di compiere un colpo di Stato. Numerosi video documentano una partecipazione molto ampia alle manifestazioni nei centri cittadini e imponenti cortei di operai che escono in massa dalle fabbriche e dagli impianti minerari, a dimostrare che la protesta è nata spontaneamente in un clima di genuina collera proletaria.

Lo conferma il contesto in cui la rivolta è maturata. Le sue motivazioni economiche sono evidenti, al di là della causa scatenante immediata, il raddoppio del prezzo del gas da trazione deciso dal governo il primo gennaio. Non a caso la protesta è scoppiata al culmine di una lunga stagione di lotte operaie, che hanno guadagnato ampiezza negli ultimi anni, nel solco in una tradizione di conflittualità sindacale ben radicata nel paese. Negli ultimi tempi il malcontento operaio è andato crescendo, nel 2021 il numero degli scioperi è stato superiore a quello del triennio precedente. In questo montare delle lotte operaie l’aumento del prezzo del gas ha esacerbato la diffusa preoccupazione per un andamento dell’inflazione che erode già significativamente il potere d’acquisto di salari, già molto bassi. In Kazakistan il salario minimo supera di poco i 100 dollari al mese, quello medio è poco più di 300.

A questo si aggiunge che, sebbene l’economia abbia conosciuto negli ultimi tre decenni una lunga fase quasi ininterrotta di sviluppo, dovuta essenzialmente all’industria estrattiva che sfrutta le risorse di un sottosuolo ricchissimo, ciò non ha migliorato in misura neanche lontanamente proporzionale i salari operai. I frutti dello sviluppo sono andati alla ristretta oligarchia dei signori della rendita mineraria, legati a doppio filo alle multinazionali del settore, perlopiù contigue allo stesso apparato statale.

Non stupisce dunque se la rivolta proletaria ha gettato nel panico le borghesie, locali e internazionali, preoccupate di vedere allontanarsi la ricca torta della rendita mineraria e terrorizzate da un proletariato fuori controllo, disposto a scendere sul terreno della lotta con i mezzi più radicali anche a prezzo dell’estremo sacrificio.

La scintilla della rivolta si è accesa nella provincia del Mańğystau, nel sud-ovest del paese, affacciata sul Mar Caspio, subito all’annuncio dell’aumento del prezzo del gas, con i primi assembramenti già sabato 1 gennaio. La protesta si è sviluppata nella città di Zhanaozen, epicentro di una solida tradizione di lotte operaie. Già nel 2011 i lavoratori del giacimento petrolifero di Ozenmunaigas avevano portato avanti uno sciopero dichiarato illegale dalle autorità ma protrattosi comunque per più di sei mesi e conclusosi con l’eccidio di 16 operai.

I lavoratori della Ozenmunaigas anche questa volta sono stati fra i primi a dare vita alle proteste. Presto si sono aggiunti quelli dei campi petroliferi della North Buzachi, della Karazhanbas e di Kalamkas, e le città Aqtau, Atyrau, Akshukur. Il 4 gennaio la rivolta è dilagata in tutto il paese coinvolgendo Almaty, Nur-Sultan, Aqtobe, Uralsk, Qyzylorda, Shymkent, Kokshetau, Kostanai, Taldykorgan, Ekibastuz, Taraz e tante altre città.

Dopo i primi scontri con le forze di polizia le proteste hanno assunto un carattere insurrezionale soverchiando l’apparato repressivo dello Stato e costringendolo a ritirarsi. I rivoltosi il 5 gennaio assaltavano le sedi istituzionali ad Almaty e a Nur-Sultan, penetrando nei palazzi del potere e devastandoli. Nello stesso tempo in molte altre città venivano presi d’assalto i municipi.

Il presidente Toqaev mandava a casa il governo, accusandolo di incompetenza per avere improvvidamente raddoppiato il prezzo del gas, ne calmierava il prezzo, ma nel contempo definiva i manifestanti “bande di terroristi”.

Intanto i rivoltosi si impossessavano delle armi disarmando e sequestrando soldati e poliziotti, e si incominciava a sparare con i primi morti in entrambi gli schieramenti.

Mentre le quotazioni internazionali delle materie prime subivano un sussulto, incominciavano le prime operazioni delle forze speciali russe che mettevano in salvo decine di membri della nomenclatura kazaka con le loro famiglie. I manifestanti occupavano l’aeroporto internazionale di Almaty, probabilmente nel tentativo di impedire che gli elementi più in vista della classe nemica si mettessero in salvo. L’arrivo delle truppe russe, che assumevano prontamente il controllo dello scalo aereo della più importante città del paese, giungeva allora salvifico per Toqaev e compari. Il terrore borghese prendeva rapidamente il sopravvento provocando, secondo le fonti ufficiali, 164 morti e procedendo anche nei giorni successivi ad arresti in massa fino alla cifra attuale di 12.000 incarcerati.

Il ristabilimento dell’ordine distopico del capitale ha ricevuto il plauso, esplicito o tacito, dei rappresentanti politici delle borghesie di ogni latitudine. L’aperto appoggio di Pechino al macellaio Toqaev equivale a quello implicito di Washington, pur nella stanca ripetizione del mantra ipocrita per il rispetto dei “diritti umani”. L’abbiamo vista il 10 gennaio ai colloqui fra Stati Uniti e Russia a Ginevra questa grande preoccupazione dei democratici di Washington per le sorti dei proletari kazaki massacrati, oppressi e perseguitati: il Kazakistan non è stato nominato mentre si parlava dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Intanto le quotazioni del gas, dopo una fiammata dovuta alla rivolta, per salutare lo scampato pericolo scendevano ai livelli precedenti.

Il tristo Toqaev, riprese le redini del paese, procedeva alla nomina di un nuovo governo, liquidava i responsabili della sicurezza e scaricava sul suo predecessore la responsabilità della situazione, accusandolo di avere favorito la creazione di “una classe di persone ricche anche per gli standard internazionali”. Ammette quello che tutti sanno, che gli elementi della vecchia nomenclatura “sovietica” hanno compiuto senza intoppi la metamorfosi da boiardi di Stato in oligarchi capitalisti, in perfetta continuità con la loro appartenenza alla classe dei borghesi.

Se la classe dominante ha bisogno di uno straccio per coprire le sue vergogne dopo il bagno di sangue, ecco che al fiume di menzogne si aggiunge un’audace opera di mistificazione, per cancellare agli occhi delle masse il reale significato di quanto è accaduto, facendo loro credere che il problema risieda tutto nella nequizia del corrotto ex presidente.

Ma il fuoco della lotta di classe non si spegne mai del tutto e tornerà a incendiare le città del Kazakistan. I proletari kazaki hanno fatto tutto quanto era nelle loro possibilità, dimostrando l’eroismo di cui è capace il proletariato quando scende in lotta, affrontando la violenza dell’apparato statale, sequestrando e disarmando poliziotti e soldati, armandosi, difendendosi e attaccando, bloccando fabbriche, miniere, arterie stradali e persino un aeroporto. Difficilmente potevano andare oltre, privi come sono del partito rivoluzionario alla loro guida, e della solidarietà del proletariato degli altri paesi, innanzitutto della classe operaia in Russia.

Il proletariato, ferito e battuto stavolta non dall’inganno ma dalla forza bruta, si solleverà inevitabilmente in una nuova rivolta e andrà verso la vittoria se saprà unirsi al di sopra di ogni frontiera nazionale, dotandosi del suo organo di lotta indispensabile: il Partito Comunista Internazionale.

Perché la spada della rivoluzione comunista, affilata dalla forza della storia, è più forte delle menzogne dei borghesi.

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