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INTERVISTA A LAUSO ZAGATO - 1 NOVEMBRE 2001


Questa vicenda riflette però un certo limite nel cercare continuamente di agganciare delle alleanze di respiro molto corto.


Questo era un limite di tutti. L'oscenità della verticalizzazione del comando e della direzione in realtà non era simile a quella di Brandirali, ma era il tentativo di unire la forza e i vantaggi con la divina libertà di cui avevamo goduto, seppure in mezzo alle paranoie di piccolo gruppo. In questi aspetti c'erano poi alcuni salti della quaglia: si andò verso un primo inabissamento, poi ci sarà il grande balzo romano delle lotte per la casa. Io però partii militare all'inizio del '72, andai a Catania e tornai ben poche volte a casa, quindi vidi da lontano questo massimo dell'inabissamento. Da qui ci fu anche la riscoperta di un leninismo d'accatto, appiccicaticcio: non è che qualcuno girasse con i galloni, il problema non era questo, si trattava di un modo per garantirsi libertà d'azione senza tutta la lunga partita del coinvolgimento e della discussione dal basso. Pagavamo prezzi alti, facevamo quello che volevamo e riuscimmo ad anticipare anche delle cose di notevole spessore.


Da questa ricerca insieme a Romano abbiamo elaborato un'ipotesi particolare rispetto alle varie esperienze operaiste, tenendo sempre conto del fatto che parliamo di percorsi che, pur provenendo da una comune matrice teorica e politica, si sono poi differenziati in modo più o meno netto. La ricchezza dell'operaismo sta nell'aver rotto ed essere andato avanti rispetto alla tradizione socialcomunista da una parte in una lettura socioeconomica nuova, dall'altra nell'individuazione dell'operaio-massa come figura non solo potenzialmente anticapitalista ma anche in grado di andare contro se stessa. Il grande limite, su cui sono franate le varie esperienze operaiste, è invece rappresentato dalla politica, non meramente intesa come problema organizzativo, bensì innanzitutto come questione di proposta, progetto, della rielaborazione di grandi fini e obiettivi. Cosa ne pensi di questa ipotesi?

Sono d'accordo, però si legano nel male e nel bene. Le esperienze operaiste intanto sono in recupero ed in ritardo, in realtà con il loro compiersi cessano anche la loro funzione, perché a quel punto diventa il problema di un discorso politico più ampio che magari riesce a mantenere alcune radici. La proposta politica aveva completamente perso, e non solo in Italia, il suo rapporto con il mutamento della base produttiva. Però, sono percorsi che negli anni '60 erano già vicine al tramonto: erano arrivati in piena maturazione ma non avevano avuto, salvo in alcuni piccolissimi momenti dell'esperienza nordamericana negli anni '30, nessuna forma di rappresentazione politica. Si potrebbe discutere se nel congresso di Bad Godesberg la destra socialdemocratica avesse in qualche modo dimostrato una capacità di modificare il vecchio modello socialdemocratico tedesco. Anche se non usarono mai quei termini si potrebbe forse dire che la destra socialdemocratica a Bad Godesberg in qualche modo una sua parificazione con il livello produttivo l'avesse avuta. Bisognerebbe studiare e approfondire la questione: Sergio Bologna, che è il maggiore esperto delle vicende tedesche, non ha mai fatto indagini e analisi in questi termini su Bad Godesberg, sul prima e sul dopo e in generale sul ceto politico socialdemocratico tedesco degli anni '50 che potrebbe forse essere l'unico ad aver approssimato certe questioni.

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