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INTERVISTA A LAUSO ZAGATO - 1 NOVEMBRE 2001


Oltre a me c'era un gruppetto di personaggi più o meno della mia età, alcuni dei quali strani, erano tutti soggetti forti peraltro, di spessore, anche nel male: uno ad esempio era Renato Troilo, ossia uno dei figuri che hanno organizzato il trappolone del 7 aprile. C'era adorazione per i nostri maestri, grandissima considerazione per queste avanguardie operaie che ci presentarono, e poi c'era il rapporto con questi miei coetanei che mi parevano un po' bohemien per la mia estrazione e mentalità assai provinciali.
Naturalmente la consapevolezza dell'importanza di ciò cui che stava nascendo a Marghera, in una con l'attivismo giovanilistico, portò alla brillante idea dell'entrismo, con tutte le sue banalità ma anche con tutte le sue furbizie tattiche. Ormai era nato lo PSIUP e non c'era più il PSI, all'apparenza le briglie erano più sciolte, così con alcuni altri partecipavo alle riunioni del sindacato a Mestre come psiuppino, e poi portavo i risultati e ne discutevo con gli operaisti. Non durò molto: nel giro di poco, tra la fine del '64 e l'inizio del '65, venimmo individuati e duramente invitati a diventare militanti politici seri a tutti gli effetti o a lasciare la comitiva. Io ovviamente lasciai la comitiva, e a quel punto si apriva un altro periodo.
C'è un altro aspetto dell'epoca su cui soffermarsi, più serio, ossia cosa era il dibattito nelle avanguardie. Le cose si stavano differenziando rispetto all'asse torinese per più aspetti: intanto Panzieri non c'era più, e mi pare che a Torino non tanto sotto la spinta di Alquati, quanto per quella dell'altro gruppo, prevalesse un discorso molto più centrato sulle avanguardie tradizionali e storiche. Da noi era diverso: certo che c'erano le figure metalmeccaniche, nella Breda di Mestre addirittura era una leggenda il fatto che dal '45 al '48 fossero state nascoste armi nei muri della fabbrica, che continuava a raccontarsi più di quindici anni dopo, con il senso che poteva ormai avere! Invece, noi si cominciava a fare un ragionamento sulla nuova "razza pagana" (termine orrendo che non mi è mai piaciuto), comunque su questa classe operaia di origine contadina, veneta purosangue, messa dai fascisti nelle fabbriche chimiche in quanto completamente priva di tradizione storica (e più fisicamente resistente alla distruzione fisica da veleni), ma che stava velocemente facendo dei passaggi importanti. Iniziava anche ad esserci un discorso sul rapporto tra fabbrica e campagna e su questa specificità del Veneto rispetto alla tradizionale classe operaia del triangolo: era una grande intuizione, la cui forza materiale avevamo ancora da misurare. Nei poli tradizionali, dopo 15 giorni di lotte, non si mangiava più, mentre qui non c'erano questi problemi. Ce ne saremmo accorti anni dopo. Erano discorsi brutali che iniziavamo solo a intuire, il rapporto tra fabbrica e poderetto aveva anche aspetti forti. Io capisco come questi discorsi possano apparire banalità al lettore giovane di oggi, ed in certa misura lo erano, ma si deve pensare a cosa era la "sociologia" di sinistra di quel tempo, anche quella purista, che era la sua versione estremistica: invece, noi provavamo a fare un discorso nuovo ed è lì che ci scambiavano, al momento, per destra, una variante socialdemocratica, forse anarco-sindacalista.
Non mi soffermo sul contrasto che abbiamo avuto subito con Torino, non con Alquati, ma con il gruppo allora dominante dell'ex Quaderni Rossi. L'altra cosa importante del Veneto era piuttosto lo scontro con i "cinesi", perché la loro maggiore esperienza era qua: il vicesegretario regionale della federazione giovanile comunista se ne andò dal PCI e si trasferì a Roma, che infatti è l'unico altro posto in cui questa cosa ebbe notevole influenza. Si portarono dietro una fetta non indifferente di quadri padovani; di conseguenza l'incontro/scontro con i "cinesi" fu consistente, anche perché lo spazio politico non era poi così ampio. A Marghera, by the way, mi capitò almeno due volte che personaggi di stazza enorme mi abbiano cercato, individuato e minacciato, così come gli altri. Erano del sindacato, ma uno lo avrei rivisto anche girare con gli m-l. D'altra parte era fisiologico: la presenza di gruppi di "cinesi" ed m-l aveva come conseguenza il fatto che molti del vecchio apparato avessero simpatia per quelli ed amicizie comuni. In fondo all'apparato non dispiaceva troppo che fossero solo questi a coprire la zona estrema della politica: per la soggettività dell'apparato del PCI erano una frazione che magari poteva tornare utile.
Certo, la situazione in Veneto sarebbe cambiata completamente dopo il '68, ma per intanto avevamo problemi fisici non indifferenti, mischiati alla preoccupazione della concorrenza politica; ciò per un certo periodo, perché la fase di spinta di questa esperienza concorrente non durò a lungo. Poi naturalmente ci sarebbe da fermarsi sull'aneddotica delle riunioni con gli m-l, ma si tratta di un'altra storia; non è che questi capissero tanto, per così dire, c'era tutto questo terzomondismo che li caratterizzava. Una volta uno dei loro maggiori esponenti e Guido Bianchini si sono messi a ricordare gli scontri politici nel '56, al tempo dell'Ungheria.

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