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INTERVISTA A LAUSO ZAGATO - 1 NOVEMBRE 2001


Toni era ancora formalmente il vicesegretario della federazione, ma lo sarebbe stato ancora per pochissimo: quando entrai lo vidi dopo qualche settimana e mi dicevano di non parlare con lui, era già il vicesegretario in punto di morte che girava con la sua bara. Conobbi anche Francesco Tolin, con cui non ho mai avuto un particolare feeling personale, al contrario, ma conobbi soprattutto il mio "cattivo maestro" personale, la persona a cui devo la mia preparazione, nonché tutti i disastri successivi della mia vita, cioè Guido Bianchini. Era stato fino a qualche anno prima consigliere comunale socialista a Monselice.
Fu lui che mi mise in guardia e mi protesse dal rischio di mettermi a lavorare con il "movimento operaio" ufficiale della mia zona: nella bassa padovana ero il primo studente borghese che metteva piede nelle sedi della sinistra e del sindacato da tempo immemorabile, il che mi avrebbe causato una forte corte, nel successivo anno e mezzo, fino a quando cioè non avessi operato una esplicita scelta definitiva. C'era inoltre il fatto che, nella ricerca un po' mistica del rapporto con i lavoratori, rischiai forte di inivischiarmi col sindacato. Per fortuna c'era Guido Bianchini a vigilare, difendendomi da entrambi i pericoli, perché altrimenti, conoscendomi, non so mica se avrei resistito a tanto "interessato interessamento" per la mia persona. Ma ci pensò appunto Guido a farmi una terribile iniezione in vena di anticorpi.
A questo punto devo fare una pausa e dire come apparivano questi vecchi operaisti come Guido, oppure Romano Alquati, o Romolo Gobbi, via via che li incontrai. Erano fuori da ogni schema non solo come pensiero e prassi politica, ma anche come modi e stili di rapporto personale, dunque eccezionali: a giovinetti come me, rispetto a ciò che c'era a sinistra, sembrava proprio che avessero Dna diversi. Ricordo quando incontrai per la prima volta Romano a Padova ad una riunione e lui a un certo punto si fermò al bar perché stavano trasmettendo il Giro d'Italia, faceva notare come correvano le biciclette e cose di questo tipo: era quanto di più politicamente scorretto uno potesse immaginare per quel mondo di radicalismo politico. Non voglio buttarla sull'aneddotica, e capisco che fa un po' ridere che uno ricordi del suo primo incontro con il mitico Romano Alquati il fatto che in un bar di Padova si mettesse ad intervenire a voce alta sull'arrivo della tappa del Giro d'Italia, nel panico degli accompagnatori. Potrei anche scusarmi, ma tant'è: e comunque, passato il panico, ne fui colpito moltissimo. Ritornando a quel periodo, capisco anche alcune astuzie: io ero un diciottenne, per cui Guido Bianchini mi disse subito che, avendo gli esami di maturità a luglio, non potevo iniziare a far politica quell'anno perché gli esami sarebbero stati durissimi, e che al massimo potevo andare il lunedì sera alle riunioni che lui faceva con un gruppo di compagni di Monselice, per fare quattro chiacchiere. Non era solo per il mio bene scolastico, sospetto: in questo modo rimasi fuori dal merdaio per un congruo numero di mesi. Partecipavo a queste riunioni-incontri, discussioni assolutamente prive di finalizzazione locale immediata: due o tre ore di lezione, di straordinaria scuola quadri, di scuola del pensiero, con quella sua straordinaria capacità socratica di tirarti fuori le stronzate da dentro che ti vorresti tenere sigillate e di farciti sbattere contro, capacità illustrata poi inimitabilmente da Luciano Ferrari Bravo nel suo elogio funebre di Guido.
Ma la mia natura giovanile era di maneggione: e appena finita la maturità, mi sono subito messo a brigare con le varie organizzazioni universitarie, a partecipare alle iniziative più improbabili, a mettere il naso in qualsiasi stronzata purché mi facesse sentire in mezzo al fluire degli eventi.
Ciò non toglie che andassi anche a Marghera, e che mi lasciassi presentare a Toni (ripresentare, ma lui non si ricordava di avermi già impattato a più riprese in Arco Valaresso) secondo il consiglio del mio cattivo maestro personale. Credo di aver descritto molto bene in "Altroquando" cosa fosse arrivare per la prima volta a Marghera di notte a volantinare (anche avere il primo colloquio con Negri, quanto a questo..), questa realtà spettrale, fascinosa per chi non aveva contezza di stabilimenti industriali che non fossero fabbriche metalmeccaniche.

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