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INTERVISTA A PAOLO VIRNO - 21 APRILE 2001


Naturalmente, qual è il problema della tradizione operaista? Come tutte le tradizioni merita solo di essere buttata a mare, ma il punto è: c'è in essa qualcosa che permette di pensare, con il massimo di radicalità critica e di realismo, la critica del capitalismo dopo l'89 e indipendentemente dall'uso del socialismo reale? Se sì, è l'unica tradizione di pensiero che in un certo senso aveva metabolizzato fin dagli anni '60 il Muro, e che forse ha ora almeno altrettante o più cose da dire di quante ne avesse nel '69. Solo in questo senso parlo in termini positivi della tradizione operaista, non per i suoi trascorsi, più o meno nobili ma nemmeno tanto: dunque, per questa capacità di tenere insieme quello che gli altri considerano ormai scisso. Il Movimento Operaio via perché c'è stato il socialismo, oppure viceversa una continuità becera. Il secondo passaggio di due o tre anni fa è quello che capisco, perché è un questione troppo scomodo, e soprattutto che rischia di non darti niente in termini concreti: è la posizione centrale, è la più forte, l'unica vera, realistica, importante dal punto di vista del capire le cose, ma se non ti da niente in termini politici non serve. C'è poi infatti questa mancata coincidenza fra strumenti che sono in realtà gli unici, ma non dentro il mondo della sinistra e dell'estrema sinistra, bensì gli unici in assoluto per comprendere a fondo in tutte le sue sottigliezze, sfumature, complicazioni e paradossi quello che c'è, quello che accade: se però non ti danno nell'immediato qualcosa di politico, in termini politico-organizzativi, tu sei in una posizione scomodissima, sei come un uomo saggio e nudo che resta per un po' al vento, dopo un altro po' dice: "beh, non fa niente", e fa il secondo passaggio. Il secondo passaggio non è prendersela con il marxismo del Movimento Operaio, con quello ce l'eravamo presa nel '67 a Genova, se per marxismo si doveva intendere quella roba del Movimento Operaio, il problema non è quello. Il loro passaggio simile a quello del PDS (simile strutturalmente, non con gli stessi contenuti) è rispetto alla tradizione operaista, perché essa appunto non gli permette di capitalizzare niente sul breve e medio tempo.
C'è tutta questa storia, anche di produzione teorica, a volte anche piuttosto rarefatta, non abbiamo avuto problemi a tirare dentro Wittgenstein o Heidegger se ci servivano, con il solito strumentalismo materialista di dire: "se quello che ci serve per questa cosa, benissimo, ci serve per questa cosa". Quindi, questa produzione anche rarefatta, questa produzione teorica fra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 aveva però questa finalizzazione che io dico organizzativa, in senso largo, poi semmai sono organizzazioni totalmente ignote rispetto a tutti i precedenti conosciuti, va bene. Ciò in realtà secondo me finisce attorno al '94. Intanto, si capisce che noi non siamo stati sufficientemente tenaci, bravi e capaci; si capisce però anche che c'è una vera difficoltà in Italia perché il ciclo di sviluppo postfordista, iniziato alla fine degli anni '70, possa mostrare ora l'altra faccia della medaglia, conflitto e forme dell'organizzazione, in quanto ci sono state una serie di giustapposizioni che lo hanno come bloccato e deviato, la caduta del Muro, la crisi del sistema politico italiano, che per tanti aspetti è una crisi che deriva da cose di fondo, è una crisi della democrazia rappresentativa, quindi qualcosa che in un certo senso interesserebbe enormemente un pensiero come il nostro. Però, prende viceversa altre forme, cioè di questa crisi si nutrono altre cose, il partito-azienda, il leghismo ecc. Quando, a un certo punto, poteva-doveva mostrarsi l'altra faccia della medaglia postfordista, quella conflittuale, questa ha preso invece una versione, una torsione di destra, o comunque è rimasta come seppellita dentro il clamore della crisi del sistema politico italiano; ciò, a parte la nostra evidente incapacità, talvolta anche poca serietà, ha bloccato per un motivo più alto e consistente questa possibilità di mostrare le potenzialità nuove sul piano politico-orgnizzativo della soggettività postfordista. Poi ci sono stati altri conati, tentativi organizzativi più recenti. Parlando a livello individuale, attorno al '94 c'è come il constatare, il toccare con mano qualcosa che probabilmente si poteva capire anche qualche anno prima: un tentativo politico-organizzativo totalmente nelle condizioni nuove, cioè che sia come il risultato della controrivoluzione, che si ponga all'estremo, al bordo della controrivoluzione invece non ha funzionato, è rimasto come stritolato per un insieme di motivi. I compagni che poi fanno DeriveApprodi partecipano a Luogo Comune, quindi c'è una continuità. Da quando smette di esserci Luogo Comune nel '93, ora più ora meno, ora più da lontano ora più da vicino, una parte consistente di quelli che fecero Luogo Comune collaborano o lavorano a DeriveApprodi.

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