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INTERVISTA A PAOLO VIRNO - 21 APRILE 2001


Io, per esempio, credo (ma naturalmente la cosa è puramente biografica) che le cose non dico significative, perché i giudizi possono essere diversi, ma quelle oggettivamente più rilevanti per esempio dell'elaborazione di Luogo Comune siano state una prosecuzione, un affinamento, anche con maggior peso culturale e teorico, di cose che erano già espresse inizialmente tutte dentro Metropoli. Io vado in galera, ma in ritardo, a scoppio differito: siamo arrestati io, Castellano, Maesano e Pace (che però sfugge all'arresto, di nuovo, giuro, non per sagacia). Noi siamo arrestati il 6 giugno '79, poi ci fanno confluire nel 7 aprile, ritroviamo gli altri nel cortile di Rebibbia, nel braccio speciale, stiamo un po' di mesi lì, poi c'è la diaspora, cioè il Ministero ordina di mandare ognuno di questi detenuti in un carcere speciale diverso, perché ovviamente, tramite avvocati, visite, benché ci fosse il regime di braccio speciale, quello era diventato una specie di luogo in cui si elaboravano documenti, lettere a giornali, si faceva campagna politica, c'erano state delle lotte interne. Quindi, c'è la diaspora, io vado a Novara, Oreste va a Cuneo, quell'altro va a Favignana, quell'altro ancora da un'altra parte. Comincia questo giro negli speciali, e ci ritroviamo non tutti ma in parte nel carcere di Palmi, inaugurato nell'autunno del '79, carcere per soli politici o per detenuti comuni completamente politicizzati, una specie di "Kesh". Là dentro c'era una situazione curiosa, anche molto spettacolare, perché si incontrano assolutamente tutti. Infatti, per un primo periodo con i compagni delle BR o con Alunni o quelli dei NAP, si pensò anche di approfittare di questa situazione per avviare una discussione larga, di carattere "costituente": però, il problema è che anche lì c'è il fatto che i più spregiudicati di loro, come Curcio, erano d'accordo, avevano capito di aver perso l'essenziale, cioè il cambio di paradigma del '77, cioè il fatto che i giovani operai erano non più riconducibili a quelli del '69; altri invece no. Comunque, c'era una disponibilità generale all'inizio. Però, loro erano in un periodo di pieno sviluppo di quella che chiamavano strategia dell'annientamento, insomma diciamo di massificazione della lotta armata, e naturalmente è un vincolo materiale troppo forte il tipo di tattica, di passaggio che stai attraversando per avere la snellezza mentale di affrontare una discussione così grande. Quindi, c'era una buona intenzione all'inizio, quasi subito lasciata perdere, e poi invece ci fu un illividimento dei rapporti sempre maggiore. Io, dopo poco meno di un anno di galera (11 mesi e mezzo), vengo rilasciato perché declassano il mio reato da costituzione a partecipazione, e a quel punto avevo fatto già abbondantemente il carcere preventivo. Poi starò fuori due anni, nell'anno vero di Metropoli, quello in cui è una rivista, nel bene o nel male, ma è una rivista che vale come tale e non per la sua mediatizzazione. Peraltro vende tanto, va solo in edicola e non vende mai meno di 15.000 copie: cosa che si può capire per il primo numero, ma diventa significativa per quelli successivi.
Riassumendo in breve, la mia detenzione fu un anno dal '79 all'80, poi due anni liberi in cui curai la serie continua di Metropoli nell'81, due anni ancora di carcere, condanna a 12 anni in primo grado, un anno di arresti domiciliari che sono un buon modo di semplificare il passaggio per certi versi al postfordismo in generale, sia pure in un aspetto microsociale, oppure il passaggio dalla società disciplinare alla società di controllo; l'assoluzione (insieme a tanti altri imputati del 7 aprile) fu nell'87, la conferma nell'88. La vita sospesa, come sempre accade quando uno è condannato, sia pure ormai a piede libero, l'Italia cambiata, mentalità completamente modificate, vecchie forme di comunanza e di contiguità completamente spezzate. Nell'87 si decide con altre persone di capire i termini della nostra rivincita, cioè di capire come tutto ciò che aveva trasformato il paese negli anni della controrivoluzione aveva creato un nuovo tipo umano, oltre che naturalmente diverse forme di produzione, che potevano ormai cominciare a esprimersi conflittualmente. Si è pensato che fosse sensato un approccio al postfordismo che muovesse dall'impasto (in termini arcaici) fra struttura e sovrastruttura, il punto di indifferenza, il punto perfettamente comune a entrambi di ciò che nella vulgata viene chiamata struttura e sovrastruttura. Era lo scrutare un modo di essere del lavoro dipendente, dando un giudizio che il lavoro dipendente contemporaneo non può essere compreso adeguatamente (proprio nel suo essere produttivo di plusvalore, beninteso) solamente o principalmente con strumenti economici, e in certa misura nemmeno con strumenti solo sociologici. Il lavoro contemporaneo, perché produttivo di plusvalore e non perché disincarnato, richiede una strumentazione assolutamente larga, in cui vengono tirati in mezzo le forme della sua cultura, la sua struttura emotiva, le sue convinzioni etiche ed estetiche.

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