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INTERVISTA A PAOLO VIRNO - 21 APRILE 2001


Per telefono venivano dettati i cosiddetti articoli (che spesso erano delle urla inconsulte) ai fiorentini, questi li stampavano e poi in macchina li portavano a Torino per darli alle 6 al primo turno. Invece, i veneti proseguirono e in realtà restarono; forse furono presenti tramite Marongiu ancora in quest'unico numero di Linea di Condotta, forse non scrivendo ma lo sentivano come cosa loro, e ai seminari che precedettero il numero di Linea di Condotta, in cui c'erano Piperno, Oreste, compagni legati più a lui, quelli del Veneto, ma anche Giairo, Marione, insomma il vecchio gruppo. Dopo che si capisce che Linea di Condotta anziché essere un incipit è una fine della fine, i veneti si chiudono nella loro realtà regionale. Restano quindi in questa dimensione separata e regionale fino a quando, mi pare nel '76 o addirittura nel '77, si avvicinano a Toni e a Rosso, mentre prima con Toni avevano rotto nel '73 restando nel corpo centrale di Potere Operaio. C'è quindi questa situazione intermedia, che corrisponde a quell'anno e mezzo o poco più che sono stato a Torino.
Per quanto riguarda poi il periodo di mezzo prima del '77, io dalla fine del '75 o inizio del '76 sono a Roma e ho già detto: riflessioni, discussioni, non più una realtà organizzativa, presenza invece del tutto attiva, con una dedizione totale a tutte le fasi del movimento del '77 romano, questo senso di una discontinuità totale nelle forme della soggettività, nelle forme della produzione, presagio del postfordismo, unità lavoro-comunicazione e via dicendo. Quindi, cambio di paradigma, però devo dire vissuto in tempo reale, non che poi adesso, riflettendoci negli anni '90, uno dice: "allora è cambiata la composizione di classe, è cambiato il paradigma, sono andati in realtà in crisi tre secoli di politica moderna, cioè di forme politiche moderne, è iniziato l'equivalente di quello che allora fu il '600 come fondazione delle forme politiche". Non è stata solo una riflessione retrospettiva, in grandissima parte avvenne in tempo reale, da cui ancora l'emozione del '77, un'emozione forte, perché le emozioni che durano si legano sempre (o almeno spesso) a un contenuto cognitivo, e lì vedi proprio che è un cambio di paradigma. Metropoli dovrebbe nascere come rivista larghissima, di tutta l'area del '77, ci sono riunioni con Toni e via dicendo: poi naturalmente le cose vanno in maniera diversa. E' comprensibile, ho fatto anch'io per parecchi anni un lavoro di organizzazione e penso (ho appena fatto la difesa dei gruppi) che nell'organizzazione, anche nelle sue forme più sciatte, organizzazioni leggere o pesanti, c'è sempre un contenuto degnissimo; però, è chiaro che chi ha delle organizzazioni ha un problema di continuità, di influenza, di lotta politica ecc., e, pur avendo radicalità teorica, è meno disposto a giocarsela come tale ignorando passaggi tattici, passaggi di egemonia. Insomma, la rivista poi materialmente la si fa tra il gruppo romano, i senza partito e i senza organizzazione e Oreste, che invece un partitino e un'organizzazione ce l'ha, ma che dice: "io nella rivista mi comporto come voi", cosa che infatti sempre fece lui e quelli che più o meno ci lavorarono direttamente, De Feo e altri. Una rivista mediatica, ed è il primo numero, perché sequestrato, perché ne vengono sottolineati solo gli articoli sul 7 aprile che era avvenuto due mesi prima. Alcuni di noi sono imputati, io ero presente all'arresto di Oreste e di Zagato nella sede romana di Metropoli il 7 aprile stesso, Piperno sfugge all'arresto per pura fortuna due o tre volte nella stessa giornata: sfugge ogni volta per quelle cose che si vedono nei film di Fernandel, arriva subito dopo che è arrivata la polizia, da cui poi le leggende, l'infinita furbizia e la superiore astuzia; penso che però, come nella storia grande e in quella maggiore di noi, spesso questa sorta di avvedutezza deriva da una concatenazione stupefacente di colpi di culo. Quindi, il primo numero di Metropoli si occupa ovviamente delle retate, c'è l'articolo, peraltro riformista e anglosassone, di Piperno che dice: "prima pagano e meglio è", ma non nel senso di sparargli alle gambe, bensì nel senso "prima le istituzioni si autocorreggono e meglio è"; non che questo fosse il suo modo di pensare ma aveva deciso di giocare il ruolo del liberal conseguente. Quindi, quelli sono gli articoli, Metropoli mediatica. Il secondo numero di Metropoli, dopo un anno di galera, esce nell'80, però è di nuovo un numero raccogliticcio, con articoli mandati dal carcere, un numero non pensato nel suo insieme. Metropoli esiste come organo di riflessione sul postfordismo, sulla crisi della società del lavoro, sulle nuove forme della soggettività, nell'anno in cui ne escono, in qualità di mensile, cinque numeri, ed è l'81: escono i numeri 3, 4, 5, 6 e 7. Con tutti i difetti che ci sono in situazioni spurie, in cui ci sono tanti residui di vecchi paradigmi che convivono invece con le intuizioni più vitali, è però possibile trovare il nucleo, il fulcro di questa riflessione.

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