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INTERVISTA A PAOLO VIRNO - 21 APRILE 2001


Il dibattito all'interno di Potere Operaio ebbe anche dei momenti alti, carichi di presagi su questo passaggio. Là c'è proprio la labilità e la fragilità dell'esperienza politica: la questione naturalmente è quella del tempo debito, del tempo giusto, se questo passaggio di uscita dal fordismo da parte dei capitalisti avviene con tempi da loro decisi e come passaggio repentino il quadro sociale, il quadro della soggettività è completamente mutato e tu hai perso; il problema era di stare dentro questo passaggio, non di avversarlo in nome della bellezza delle linee di montaggio. Insomma, il problema era quale segno su questo passaggio: c'è una fase delicata di trapasso e lì si gioca tutto. Quindi, rivendico anche che nella fase finale, che è quella più livida, quella più carica poi di risentimenti, per tanti aspetti la più detestabile, però vi era un nucleo vero di discussione.
Successivamente resto ancora a Milano a fare intervento all'Innocenti, con quel poco che restava di Potere Operaio a Milano che non era andato con l'Autonomia, ossia pochissime persone. Poi, quando ci fu la seconda chiamiamola occupazione della Fiat, quella del febbraio-marzo '74, vado a Torino dove avevo dei buoni amici e buoni compagni, era una realtà rimasta più o meno in piedi come sede di intervento; e poi le lotte e l'intervento sull'autoriduzione e via dicendo. Nell'estate o all'inizio dell'autunno del '75 torno a Roma, dapprima credevo provvisoriamente, poi per tanti motivi invece diventa un restare. Comincia una stagione di mezzo in cui non c'è più organizzazione, in cui ci sono nuovi cicli di studio e di riflessione, fino all'autunno '76 e inizio '77. In quel periodo c'è in realtà una riflessione rispetto al '68 e al ciclo '68-'73, sul fatto che la forza-lavoro sociale ha altri canali di formazione, altre espressioni soggettive. Questa discussione avviene fra un gruppo di compagni romani che lavoravano insieme per motivi professionali, avevano messo in piedi un centro di ricerche che si chiamava il Cerpe. Tutti questi compagni ritornano ad avere un ruolo pubblico, far proposte, attività e lavoro nel '77 romano, ma senza nessuna forma organizzata. A quel punto naturalmente c'era stata anche una modificazione nella storia dell'autonomia, quella che avviene attorno al '75-'76 milanese che diventa appunto la forma politica nuova della nuova composizione di classe; mentre all'inizio, negli anni fra il '73 e il '75, era una cosa più angusta, con ragioni più specifiche, dal '75 diventa davvero la forma generale della nuova composizione di classe della forza-lavoro scolarizzata, del lavoro mentale, del lavoro precario, della nuova giornata lavorativa sociale. Quindi, i vecchi motivi di divisione rispetto all'area dell'Autonomia vengono meno e ovviamente si lavora con loro, anche se, ripeto, manca un gruppo organizzativo, una soggettività organizzata. Nel '77 c'è proprio un vedere la nascita di qualcosa di nuovo. In questi discorsi che adesso noi abbiamo rifatto anche negli '90 onestamente credo che non ci sia una di quelle dimensioni anacronistiche per cui attribuisci al prima quello che hai pensato dopo: penso che là ci fu proprio un'illuminazione dentro il decorso concreto del movimento, un dire: "ecco, questo è il superamento del fordismo, ed è il superamento del fordismo che avviene in forma di conflitto". Prima le lotte, poi lo sviluppo: il '77 come nascita ed esordio del postfordismo, del superamento del fordismo. Cosa che peraltro è successa tante altre volte nella storia dello sviluppo capitalistico, gli IWW fanno le lotte negli anni '10, sono operai dequalificati e mobili, e in un certo senso sono l'esordio di quello che Taylor e Ford faranno negli anni '20 con la dequalificazione sistematica del lavoro. Lì c'era proprio un'idea in cui il rifiuto del lavoro, la critica del lavoro salariato, smetteva di essere il cuore della faccenda ma solo in negativo: cioè, venivano in rilievo, in altorilievo, dense, in positivo, le forme di vita, le forme di esistenza, le mentalità, le forme di comunicazione del rifiuto del lavoro. Quindi, il rifiuto del lavoro per me ha questo carattere puramente di contro, mostrava, secerneva una sua ricchezza. I discorsi sul '77 poi sono stati al centro dell'elaborazione subito dopo, delle parti meno effimere di Metropoli e anche, per quello che riguarda Lucio Castellano e me, di quei due saggi comparsi nei Pre-print della saggistica che accompagnava la rivista, scritti in realtà da Lucio alla fine del '76, da me nel '78. Metropoli fu un'elaborazione a caldo, però anche di qualche respiro, delle cose essenziali emerse da quella inaugurazione conflittuale del postfordismo che è stato il movimento del '77. Su Metropoli vi era un leit motiv, naturalmente schiacciato e velato semmai dagli articoli sul terrorismo, che per ovvi motivi ebbero maggior clamore: si tratta di un tema fondamentale e ricorrente quello della sempre maggiore centralità del linguaggio nel lavoro, per esempio, oppure sulla rottura di tutte le mentalità legate al fordismo.

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