>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Percorso di formazione politica e culturale
(pag. 1)

> Linea di Condotta
(pag. 5)

> Fuori dalle Linee
(pag. 5)

> Il "poligono" dell'operaismo
(pag. 11)

> La questione del general intellect
(pag. 12)

> Enzo Grillo
(pag. 13)

> Progressismo operaista?
(pag. 14)

> Teleologismo comunista
(pag. 14)

> Lucio Castellano
(pag. 15)

> Composizione tecnica, composizione politica e ricomposizione
(pag. 16)

> Figure di riferimento per andare oltre Marx
(pag. 17)

> Arnold Gehlen
(pag. 17)
INTERVISTA A PAOLO VIRNO - 21 APRILE 2001


Il punto su cui l'operaismo invece lascia solo buchi neri è nei termini della teoria politica, questo mi pare indubbio. Nel corso del tempo, dagli anni '60, con gli esperimenti pratici rivoluzionari degli anni '70, poi anche dopo e ancora adesso, ha fatto anche un buon lavoro destruens, ma ogni volta che si è azzardato ad andare oltre non vi è riuscito. Naturalmente ci sono stati tentativi importanti, ma il limite dell'operaismo è quello di non essere mai, neanche lontanamente, riuscito nel suo insieme a pensare la realtà del general intellect in termini di teoria politica, cioè pensare il general intellect (con tutte le cose che sono connesse, non voglio usare anch'io adesso la parola strategitistica, e solo per brevità stenografica) come base di una teoria politica. Ci sono le cose di Tronti, ma poi lui difende se stesso, in questi libri, anche ne "La politica al tramonto": in qualche modo difende, a costo semmai di difendere anche Stalin, il fatto che è entrato nel PCI nel '68. Cacciari non ci prova nemmeno e quindi lavora con Di Pietro; Tronti, invece, ci tiene a difendere se stesso e quindi fa questo discorso sulla politica del '900. Però, la mette troppo in generale e perciò perde il punto specifico che invece è quello, eventualmente anche in termini di colpa e di responsabilità dell'operaismo, cioè il non aver tratto dall'analisi della composizione di classe, dei suoi mutamenti, dall'analisi del general intellect, una teoria politica che fosse finalmente una teoria politica post-statale, senza essere una teoria parodisticamente anarchica. Ci sono stati tutti gli esperimenti, anche negli anni '70, dove c'è stata una vera messe di esperimenti pratici sul piano organizzativo, e dove certamente l'autonomia ha costituito la forma generale di organizzazione del nuovo proletariato. Però, ogni volta che la cosa veniva fissata in termini teorici, o ci sono state aporie terribili che bloccavano immediatamente, oppure veri ritorni al passato, veri tic da generale Stranamore sul terreno politico. Dunque, sul terreno politico o aporia o stranamorismo. Questo detto con uno sguardo molto di insieme. La cosa che capisco meno nello schema di Alquati è quella sulla cultura: se ciò vale per quelli entrati nel PCI nel '68 allora sì, entravano in un partito che concepiva in questo modo il rapporto fra intellettuali e politica, quindi era automatico che si conformassero seppure recalcitravano. Per quanto riguarda invece la parte dell'operaismo che ha mantenuto un carattere più bizzoso, più autonomo, più estraneo ai partiti tradizionali, ci sono state miserie personali, intoppi, incoerenze, compromessi, tutto quello che si vuole, ma non direi che ha riprodotto un modello di intellettuale organico.


La questione è in termini diversi. Il problema che alcuni hanno posto nella seconda metà degli anni '50 è quello che hai prima evidenziato nella tua analisi, ossia come uscire da quel circolo chiuso in cui Marx, con una terribile lungimiranza, va a fare una teoria del capitale e non di una possibile uscita da esso. Di fronte a questo grosso nodo ipotetico alcuni si sono mossi cercando non solo fuori dal marxismo, ma anche fuori dallo stesso Marx delle forme di rottura di quel circolo chiuso: c'è stata quindi un'iniziale apertura verso la sociologia, la fenomenologia, ma anche la psicoanalisi e via dicendo. In realtà, però, non si è mai posta la questione di un controutilizzo critico di certi ambiti disciplinari fino ad allora trascurati dall'oggettivismo del marxismo ortodosso, in una sintesi politica complessiva che andasse nella direzione di una scienza altra, che nella sola enunciazione è poi diventata la scienza operaia. Tutto sommato a prevalere, almeno in generale, anche tra coloro che hanno girato attorno o simpatizzato per gli ambiti operaisti, è stato invece il modello della cultura esplicita ed umanistica. La questione del general intellect: secondo te, quanto esso ha una dimensione capitalistica e quanto può essere ribaltato o addirittura è già in un discorso di trasformazione e di uscita dal capitalismo?

Tutti e due. E' totalmente una risorsa produttiva del capitalismo, sapere, conoscenza, il ricorso a queste facoltà generiche dell'essere umano; e però ovviamente è anche l'unica base materiale, concreta, definita del ribaltamento. E' quello che, con una battuta che dentro la tradizione dell'operaismo si capisce, si è chiamato su Luogo Comune "il comunismo del capitale", riferito al socialismo del capitale di cui si parlava a proposito degli anni '30, keynesismo, fordismo ecc. che sono la risposta alla crisi del '29 e prima ancora al '17. Il comunismo del capitale significa appunto che il postfordismo articola a sé quel general intellect che dimostrerebbe quanto pacatamente realistico potrebbe essere il ribaltamento comunistico.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.