>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Percorso di formazione politica e culturale e inizi dell'attività militante
(pag. 1)

> Milano, Roma e la dissoluzione del movimento
(pag. 4)

> I Volsci
(pag. 5)

> Limiti e ricchezze dei movimenti degli anni '70
(pag. 6)

> La lotta armata
(pag. 6)

> Il "poligono" dell'operaismo
(pag. 10)

> Il nodo della cultura
(pag. 12)

> La questione dei rapporti di forza
(pag. 12)

> Bifo e il rifiuto del lavoro
(pag. 13)

> L'operaismo come eresia potente
(pag. 13)

> Dialettica costruzione-distruzione
(pag. 15)

> Spontaneità e organizzazione
(pag. 15)

> Progressismo operaista?
(pag. 16)
INTERVISTA A BENEDETTO VECCHI - 20 APRILE 2001


Gli anni Ottanta sono per me la deriva. Quasi tutti quelli che io consideravo allora i miei compagni fanno delle scelte che successivamente potrei definire, ma in termini scherzosi, di esodo: alcuni se ne sono proprio andati dall'Italia, altri hanno incontrato l'eroina, altri hanno fatto la scelta di sparacchiare. Io mi ricordo la prima metà degli anni '80 come un periodo buio, di paralisi, di solitudine anche. Certo, con un gruppo di persone che si autodefinivano operaisti - è proprio da loro che sento per la prima volta una connotazione politica dell'operaismo - tentiamo in quartiere di mettere in moto un meccanismo di intervento sul lavoro nero, cosa che facciamo, perché nella zona c'erano una serie di laboratori del tessile. Lanciamo la parola d'ordine dell'inchiesta, nel senso che stabiliamo contatti con chi ci lavorava dentro, in maggior parte giovani donne, cerchiamo di costruire insieme a loro delle iniziative per la regolarizzazione, in quanto erano quasi tutte in nero, o per l'aumento del salario perché erano pagate proprio una miseria. Anche lì c'è stata poi la riproduzione dei meccanismi letti o sentiti raccontare di intervento sul lavoro nero: le ronde e via dicendo. Però, la sensazione è che comunque fosse partita chiusa.


A Milano e da altre parti la dissoluzione così rapida del movimento coincide con un'azione repressiva forte, che porta sostanzialmente allo smantellamento di intere parti dell'area dell'Autonomia: a Padova, ad esempio, dal 7 aprile al 21 dicembre all'81-'82 un intero quadro viene spazzato via da Romito e via dicendo, la stessa cosa avviene a Milano. A Roma, invece, non succede questa cosa perché non ha pentiti, o comunque li ha solo in termini marginali. Tuttavia, a Roma è altrettanto forte la dissoluzione del quadro che ha retto l'intervento politico negli anni '70. Come analizzi questo fenomeno?

Io non sono d'accordo con l'analisi sui collettivi politici veneti, che secondo me vengono spazzati via politicamente ma il legame organizzativo rimane, se no non si spiegherebbe perché abbiano resistito per tutti gli anni '80.


Certo, non vengono spazzati via, resistono anche organizzativamente, tant'è che un certo quadro politico è sostanzialmente presente ancora oggi; il fatto è che si interrompe quel percorso.


A Roma secondo me ciò dipende, da una parte dalla struttura sociale della città: questo significa che parecchi dei militanti, ad esempio dei collettivi autonomi operai romani, i Volsci per intenderci, lavorano nei servizi. Accade che, mentre l'attività di movimento perde di visibilità e di impatto politico sulla città, loro continuano a fare militanza politica sul luogo di lavoro. Il poter continuamente attraversare la dimensione del lavoro e del sociale, cioè questa completa osmosi nel loro essere militanti politici, garantisce la tenuta a Roma. E garantisce anche un altro aspetto, cioè il fatto che i Volsci sono una comunità: una comunità solidale al proprio interno, che mette in moto dei meccanismi di mutuo soccorso. A Roma, per quello che so io, quando si fanno gli espropri proletari poi si divide il ricavato, non solo tra chi lo fa, ma anche con il gruppo sociale di riferimento. Poi qui conta moltissimo la dimensione di quartiere, cosa che per esempio né a Padova né a Milano è importante, anche se poi Primo Moroni ad un certo punto cerca di spiegare il ruolo di alcuni quartieri milanesi nelle vicende del movimento. Ma a Roma il quartiere non è solo un'entità geografica, è un'entità sociale molto precisa. E i Volsci riescono a fare un piccolo miracolo: molti di loro sono lavoratori nei servizi e lì svolgono attività sindacale attraverso i comitati di base che sono stati formati - basti pensare al Collettivo politico dell'Enel o a quello della Sip o a quella della Casaccia, ossia il Centro di ricerche dell'Enel. Allo stesso tempo, la dimensione sociale dei Volsci garantisce il loro radicamento in città. Questo ha permesso, negli anni della repressione dura, una certa impermeabilità al pentitismo. Inoltre, i Volsci dell'illegalità diffusa hanno un concetto molto preciso: non si va mai oltre un certo limite, che a Roma si supera una volta sola (si tratta dell'omicidio di un poliziotto durante una manifestazione). Nel movimento, quella morte provocò una discussione ferocissima e violentissima. Anche i compagni dei Volsci l'hanno considerata un disastro politico.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.