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INTERVISTA A BENEDETTO VECCHI - 20 APRILE 2001


Io inizio le superiori in una fase un po' di stanca del movimento studentesco, in cui i gruppi della nuova sinistra (il PDUP, Avanguardia Operaia, Lotta Continua) hanno tutti la propria organizzazione studentesca. Nella scuola che frequentavo funzionava una specie di assemblea dei delegati di classe. Era l'organismo sovrano, lì si prendevano le decisioni a cui, nel bene e nel male, tutti le organizzazioni studentesche sottostavano. Partecipo come delegato alla sua esperienza per due anni. Volevamo la scuola aperta il pomeriggio, la mensa scolastica, balbettavamo discorsi sui servizi sociali gratis per gli studenti, ma niente di importante. Passavamo molto tempo a scontrarci con i fascisti della sezione del MSI che distava un centinaio di metri dalla scuola. Mi ricordo lo shock per l'omicidio di Pietro Bruno nel '75. Va detto che in quel periodo, che io considero di stanca, poiché il mio era un istituto tecnico industriale, prendiamo contatto con dei consigli di fabbrica, quelli dell'IBM, della Litton e della ITT. L'ITT perché veniva considerata una multinazionale che aveva delle responsabilità per alcuni golpe in America Latina, specificatamente in Cile; l'IBM perché c'era una sezione di informatica. Lo stesso vale per la Litton, che era un'azienda di componentistica informatica. Lì cominciamo tutti, o almeno chi è interessato, a leggere dei testi che sono al confine dell'operaismo, ma anche di storia operaia, in senso generico e generale. C'è un tentativo di mettere in piedi un collettivo che viene chiamato Collettivo del sapere operaio, che però dura l'arco di una stagione, ed è più che altro un momento seminariale e di autoformazione: non dà vita quasi a niente, se non a degli incontri, a delle partecipazioni a delle riunioni del consiglio di fabbrica, perché eravamo invitati a parlare della nostra condizione studentesca. Poi ci sono tutte le vicende relative al disfacimento, anzi all'implosione della sinistra extraparlamentare, che coinvolgono anche la vita interna alla scuola: ci sono le elezioni del '75, quelle del '76, che danno vita a un dibattito parecchio acceso, perché era molto forte la componente del Manifesto, altrettanto quella di Lotta Continua, mentre l'area dell'Autonomia sono 3 o 4 compagni che danno vita a un collettivo autonomo insieme a degli anarchici. Il '76 è il punto di svolta anche personale: ci sono le elezioni generali, Democrazia Proletaria va male, comincia tutto il processo di dissoluzione dei gruppi. Nell'estate di quell'anno io leggo e seguo attentamente due momenti che reputo importanti nella mia biografia personale: si tratta di due meeting, chiamiamoli così, o comunque due appuntamenti del proletariato giovanile, come venivano chiamati i giovani, uno di Lotta Continua alle porte di Napoli e uno a Ravenna. Quello che mi colpisce di più è quello di Ravenna, perché ci sono degli scontri con la polizia, con un atteggiamento di forte ostilità da parte dell'amministrazione comunale gestita dal PCI e dal PSI: in quell'occasione echeggiano tutti i temi di stigmatizzazione da parte della sinistra storica nei confronti dell'autonomia. Con l'inizio del nuovo anno scolastico, a settembre-ottobre, parte il movimento dell'autoriduzione dei biglietti del cinema e della musica gratis, e io ci sto dentro: ci sono una serie di cortei che attraversano il centro della città, si entra nei cinema, spesso si porta via l'incasso. Ci sono le prime esperienze degli espropri proletari. Partecipo a tutto ciò, anche se come cane sciolto, cioè non faccio mai la scelta di legarmi, per intenderci, al collettivo di Via dei Volsci: anzi, i Volsci li ho sempre considerati come un'espressione importante ma lontana, estranea a quello che pensavo. E' questo il periodo in cui il confronto con le tematiche operaiste si fa ravvicinato, quindi leggo non solo Negri ma, per esempio, Bologna, comincio a cercare disperatamente nelle librerie di movimento tutto ciò che veniva prodotto al Nord, seguo con attenzione l'esperienza dei circoli del proletariato giovanile di Milano e in parte di Torino, anche se queste ultime sono successive. Quindi si arriva al '77.
Il '77 è il '77. C'è una scelta più marcata di collocazione all'interno di quello che viene chiamato il movimento e una presa di distanza dall'esperienza del comitato di lotta per la casa di Primavalle. C'è un episodio, sempre a Primavalle, alla fine del '76 che mi fece molto riflettere: mi riferisco a uno scontro tra polizia e piccoli malavitosi, che si trasforma in una rivolta di quartiere. Nella scuola che frequentavo decidemmo con una buona dose di inconsapevolezza, alla garibaldina, di uscire in corteo per raggiungere i "rivoltosi". Ci trovammo di fronte una cosa molto riot americano, con bande che fronteggiavano militarmente la polizia. Per noi la scelta di andare in corteo per manifestare solidarietà con il quartiere era sinonimo di rompere la gabbia un po' dorata della scuola ed entrare definitivamente in contatto con i proletari. Ingenuità da parte nostra, sicuramente. Questo per sottolineare sempre la dimensione da "educazione sentimentale" alla politica rappresentato da quel triennio che va dal '74 al '76.

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