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INTERVISTA A BENEDETTO VECCHI - 20 APRILE 2001


Il nodo è spesso stato proprio nella dialettica tra costruzione e distruzione, che tante volte è saltata. Il processo è indubbiamente quello, il problema è portarlo avanti.



Qui andiamo un po' anche nello spessore intellettuale e umano delle persone. Per esempio, Tronti ha pensato di governare quello che voi dite, la dialettica tra costruzione e distruzione, attraverso il partito, ritenendo che quello fosse il luogo deputato. Se si va a vedere, altre esperienze hanno pensato che il momento di sintesi dovesse essere quello delle persone che formavano la stessa ipotesi politica, quindi con una sorta di tensione ad accentrare. Facendo una battuta banale, se si va a parlare con Toni o con Marco Revelli, quando devono discutere di una cosa che riguarda ciò che pensano loro, utilizzano il noi, mentre è una loro ipotesi. Dunque, questa "superbia" intellettuale è un aspetto della tradizione operaista che proprio lascerei da parte. Anche le scorciatoie tipo "individuo il soggetto centrale della trasformazione e tutto deve discendere da lì" mi sembrano improponibili. Ragionando per paradossi, una parte della tradizione operaista è giunta ed è approdata ad usare l'espressione moltitudine. Ma la moltitudine non è un soggetto. Come la mettiamo allora con un topos della tradizione operaista, cioè l'organizzazione? Quello che vediamo all'opera, alcune volte, è una moltitudine che preferisce il movimento, non l'organizzazione.


L'altro nodo grosso che rimane irrisolto è quello tra spontaneità e organizzazione. Se si vanno ad analizzare alcuni passaggi sostanziali, per esempio di Negri, si vede che quando guarda ai comportamenti della classe è sempre esaltazione della spontaneità, non c'è mai la chiusura in cui l'organizzazione costituisce un passaggio in avanti; quando invece guarda alla pratica, si tratta sempre della micro-oganizzazione del gruppo che devi far prevalere attraverso la battaglia politica, in cui la dimensione di classe è giocata in termini strumentali. Per esempio, la forza dei padovani è sempre stata quella di distruggere l'avversario, ma dove questo non è la controparte capitalistica, bensì invece i più diretti vicini. I padovani sono caduti quando è poi cambiata la composizione di classe, quando il referente della composizione di classe veneta è diventata la Lega. Negli anni '70 questo discorso era fatto nei confronti del PCI, facendo un gioco particolare con il PSI del Veneto e con la Democrazia Cristiana.

La polarità o comunque la dialettica spontaneità-organizzazione non può essere ripresentata in certi termini. Se siamo d'accordo (e questa è una discussione che è tutta in piedi) che l'indagine o l'inchiesta sulla forza-lavoro offre linee di ricerca per la sperimentazione politica e non risposte, allora il rapporto tra spontaneità e organizzazione va declinato diversamente rispetto al passato. Bisogna essere molto cauti ad enfatizzare la spontaneità, perché se no si arriva all'adesione allo status quo, ed è una delle accuse che è stata fatta a Toni, per esempio, quattro o cinque anni fa: quando a Parigi parlava di lavoratore immateriale, cioè una descrizione di comportamenti, quasi una sorta di apologia della tendenza in atto. Mentre negli anni '70 alcune sue cose potevano essere giustificate da un movimento, adesso come fai a non essere cauto? Diciamo una cosa: i padovani a un certo punto, dopo aver discusso com'era cambiato il Veneto e aver intuito alcune cose del cosiddetto miracolo del Nord-Est, hanno tentato di tradurre politicamente quello che avevano studiato o discusso, e sono arrivati a fare proposte provocatorie, ma non convincenti, come quella sulla rivolta fiscale. Per fortuna, lo hanno fatto solo per pochi mesi. Per cui è vero che questa dialettica c'è, però uno dovrebbe essere molto cauto, molto avvertito nel cercare di ordinarla nella propria testa: perché se l'inchiesta o la conricerca ti dà delle linee di ricerca e non ti dà delle risposte, allora non puoi cavartela facilmente, né in termini di spontaneità né in termini di organizzazione. Ora, togliamo alcune ingenuità del tipo elevare a massima politica lo slogan "camminare domandando". Resta il fatto che mantiene aperta la dimensione analitica e di interpretazione delle tendenza in atto, mentre fai le cose. Da questo punto di vista, si possono pure riprendere delle cose del marxismo un po' più tradizionale, pensiamo a Karl Korsch e a "Marxismo e filosofia": a un certo punto, in polemica con la posizione dominante all'interno del movimento comunista internazionale, lui dice: "non è vero che con il marxismo è finita la filosofia, sciocchezze, la filosofia continua". Che cosa voleva dire? Attenti a non far diventare il marxismo un dogma che regola tutto quanto. Trasportando ciò nella situazione attuale, vuol dire che l'inchiesta o la conricerca vanno intese come un campo aperto di possibilità, che hanno bisogno di una verifica nella realtà. Bisogna cioè considerare l'inchiesta come un processo che si riapre continuamente. Se poi ciò può dar vita a una forma organizzativa, io questo non lo so dire.

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