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INTERVISTA A BENEDETTO VECCHI - 20 APRILE 2001



Ci sono sicuramente da fare delle distinzioni: ad esempio, per Tronti e Negri rispetto alla cultura va fatto un discorso molto diverso. Da una parte, anche dalla presente ricerca si può vedere come una buona parte degli intervistati, benché siano collocati all'interno dell'università, non hanno mai messo realmente in discussione i suoi modelli e meccanismi, e soprattutto ben poco sono riusciti a usare certi margini di parziale autonomia e peculiare ambivalenza per porre la questione di una formazione altra, di una controformazione e di una ricerca sulla soggettività. Questo non lo ha fatto nemmeno Toni, che pure ha usato l'università come base per l'organizzazione politica esterna. Dall'altra parte, si può vedere come determinati ambiti disciplinari (come la sociologia, oppure la fenomenologia, ma anche la psicoanalisi o la psicologia, ad esempio) siano stati trascurati o comunque subordinati alla cultura esplicita ed umanistica tipica di una certa tradizione marxista e specificatamente gramsciana. Questo discorso non vale per tutti, ovviamente, però sicuramente in generale si tratta di un'analisi in buona misura verificabile anche per la maggior parte di coloro che simpatizzarono, frequentarono o lambirono gli ambiti operaisti. L'ambiziosa ipotesi di una scienza altra, che con Tronti è poi diventata la scienza operaia, non è mai andata molto oltre la semplice enunciazione.


Questo è vero. Romano fa un caso a sé nell'operaismo, perché lui non rientra in quasi nessuno dei filoni che vengono riconosciuti come operaisti in Italia. A un certo punto sceglie una sorta di solitudine nella ricerca intellettuale, che, secondo me, rompe verso la fine degli anni '80. Quando io dico, e ne sono convinto poi veramente, che nella seconda metà degli anni '70 si pone il problema del superamento dell'operaismo, in termini di movimento c'è un entrare in contatto invece con ambiti e discipline molto lontane: si pensi al discorso della psicoanalisi che viene fatto a Trieste. Oppure si pensi al rapporto di Elvio Facchinelli con l'operaismo a Milano: diventa importante, diventa una sorta di breviario per parecchi militanti quella lettura che lui fa dei rapporti di potere all'interno della società negli anni della psicoanalisi. Il discorso dell'antipsichiatria, dentro il movimento, dentro la componente che ha origine (anche se poi se ne distacca) dall'operaismo, è importantissimo, diventa vitale. Per esempio, chi dell'operaismo fa una scelta intellettuale solamente? Prendiamo dei casi specifici: prendiamo Toni, lui sta a Padova, è la sua base di partenza, utilizza l'università più che altro come una sorta di laboratorio politico, ed è vero che nell'ambito disciplinare di Toni o comunque nel gruppo che si raccoglie intorno a lui, insieme agli altri padovani, il rapporto con la psicoanalisi, anche con la sociologia è quasi di disprezzo. Però, sono personaggi che poi considerano importante, dal punto di vista teorico e politico, la storia del movimento operaio americano, e chi vuol capire qualcosa di esso deve fare i conti con la sociologia. Se si va a rileggere alcuni Materiali Marxisti della Feltrinelli, sto pensando a "La formazione dell'operaio-massa negli Stati Uniti" o "Crisi e organizzazione operaia" ecc., c'è un rapporto se si vuole spregiudicato con la sociologia. La cultura e la produzione culturale sono viste come espressione di rapporti di forza nella società, e quindi si cerca, pure in quella che viene chiamata la cultura di massa, la forma in cui si cristallizza nell'immaginare i rapporti di forza nella società.


Per quanto riguarda il discorso sui rapporti di forza, da una parte c'è stata una grande genialità politica nell'averlo affrontato, capito e portato avanti; dall'altra parte, però, il grande limite è stato quello di considerare i rapporti di forza irreversibili, il che ha portato a tutta una serie di errori politici. Determinate forzature dell'operaismo, e dell'Autonomia in particolare, sono avvenute nel tentativo di portare sempre più avanti un discorso di articolazione dei rapporti di forza e di rottura, che ha funzionato finché le lotte erano in crescendo, ma nel momento in cui ciò veniva a cessare diventava distruzione di quello che si era costruito. Anche il discorso della scelta della lotta armata è in parte all'interno dell'Autonomia in forme sostanziali: senz'altro giocata in termini diversi dalla clandestinità, però comunque rientra nella costruzione di egemonia politica.

Sì, è vero. Noi in tutta questa analisi ci siamo dimenticati di una persona che fino a un certo punto svolge il ruolo di enfant prodige e secondo me produce delle cose interessanti. Si tratta di Bifo. E' un personaggio atipico dentro l'operaismo: all'inizio della sua apparizione pubblica scrive un libro molto bello, che è "Contro il lavoro". Poi fa l'esperienza di militane, intellettuale, non so neanche come definirlo bene.

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