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INTERVISTA A BENEDETTO VECCHI - 20 APRILE 2001


Il '900 operaio è una cosa che lascia inorriditi: quello che penso essere un momento chiave, che è l'autunno caldo, lui lo liquida come una cosa irrilevante, rilevante era il partito, che è la sintesi. Questo è un filone dell'operaismo che non riguarda solo Tronti ma riguarda in misura anche Asor Rosa, che ha avuto compiti di responsabilità dentro il PCI, cosa che Tronti non ha mai avuto. In alcune fasi dell'ultimo Berlinguer, Asor Rosa ha contato molto. Riguarda in parte anche Massimo Cacciari, che però secondo me con l'operaismo a un certo punto rompe anche da un punto di vista teorico e intellettuale, a differenza invece di Tronti e Asor Rosa, che in qualche maniera cercano sempre un elemento di continuità. Poi c'è un altro tipo di operaismo. Mi riferisco a Potere Operaio: e lì non è che sia andata bene, c'è stato un elemento di divaricazione al proprio interno, di scelte divergenti. Mi ricordo alcuni scritti di Toni Negri sul crinale tra il '77 e il '78 dove anche lui fa una torsione sull'autonomia del politico ma in tutt'altra direzione. Di Toni continua ad interessarmi la sua lettura della realtà. Per questo, mi astengo da giudizi sulla sua biografia personale. Personalizzare scelte e percorsi politici è quasi sempre improduttivo. L'autonomia del politico teorizzata da Toni in un certo momento era un punto di approdo e un cortocircuito. Mi sembra che il suo discorso fosse indirizzato alle Brigate Rosse, non al movimento. Forse mi sbaglio, ma ho la sensazione che Toni ha un certo punto a pensato che fosse possibile condizionare le scelte delle Brigate Rosse e ricondurle su un terreno politico invece che militare. Ma sono cose che conosco poco. C'è anche un altro operaismo che però non viene mai considerato ed è quello che si raccoglie intorno alla rivista Primo Maggio, caratterizzato da permalosità, litigiosità al proprio interno, che riguarda personaggi come Sergio Bologna, il quale non è un intellettuale secondario in tutte le vicende operaiste di quegli anni. E riguarda però una parte anche di Lotta Continua, cioè l'operaismo riguarda persone come Marco Revelli: e lì le opzioni politiche secondo me rimangono generiche e fumose, tolto per Marco Revelli che ha militato in LC, che ha avuto compiti di responsabilità a Torino.


Questo discorso vale in parte anche per Sofri.


Per il primo Sofri, quello di Potere Operaio pisano. Ma dura una stagione, specialmente quando decide di dare vita a Lotta Continua l'opzione operaista rimane nella testa e nelle intenzioni di alcuni militanti, ma certo non in Adriano Sofri. Quindi, sulla dimensione politica dell'operaismo io direi che è la meno rilevante per il presente, nel senso che ci dice poco su uno dei problemi che dobbiamo dipanare. Mi riferisco a quello che Paolo Virno ha chiamato "blocco della politica".
Per quanto riguarda la dimensione culturale io non sono d'accordo. L'operaismo si è costituito come una tradizione marxista eterodossa in Italia di gran lunga superiore alla tradizione gramsciana. Questa è la mia valutazione. E' inoltre una tradizione europea, cioè fa riferimento all'Europa come orizzonte culturale e intellettuale: riesce a intercettare ed entrare in rapporto ricco e proficuo con tradizioni culturali e filosofiche distanti dal marxismo, e ne tira fuori il meglio. In Italia, l'utilizzo che viene alcune volte fatto di Deleuze e di Guattari, e in misura minore di Foucault, lo si ha grazie anche all'operaismo. Secondo me quello è l'atto fondativo di una nuova tradizione marxista in Italia, che bisognerebbe riprendere, per cui è un'eredità ancora ricca. Noi di Luogo Comune scopriamo la metropoli e ci appassioniamo al libro di Mike Davis "Le città di quarzo", su Los Angeles. Mike Davis è da sempre marxista, lettore dell'operaismo italiano (quello che è stato tradotto negli Stati Uniti, ovviamente): la cosa che noi valorizziamo di quel libro non è tanto la sua descrizione della metropoli, ma l'utilizzo disincantato e politico della cultura di massa. Questa è una caratteristica che appartiene all'operaismo. Basti pensare al rapporto che c'è all'inizio di un'esperienza come i Quaderni Rossi con personaggi come Fortini, o l'attenzione che viene ad esempio data alla polemica de Il Politecnico di Vittorini: ciò, però, non va considerato solo dentro un contesto come quello italiano, ma va considerato come un tentativo di fuoriuscire dalla tradizione storicista e gramsciana. Ed è un elemento metodologico e un'indicazione di lavoro che vale anche adesso. Quindi, credo che sia il secondo aspetto dell'eredità dell'operaismo che è da raccogliere e da riprendere. C'è questa grande capacità di misurarsi con ciò che è diventata la produzione culturale che l'operaismo ha sempre avuto. Dopo di che è vero che, come biografie, come formazione intellettuale, quasi tutti hanno una formazione umanistica.

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