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INTERVISTA A BENEDETTO VECCHI - 20 APRILE 2001


Rimango quindi orfano nuovamente, nel senso che il gruppo di Luogo Comune continua a vedersi, mantiene un filo, poi c'è il ritorno di Toni in Italia, l'avvio di una serie di seminari con lui, la scoperta di significativi punti di divergenza per cui ci salutiamo da bravi amici, lui continua a fare le sue cose e noi continuiamo a fare le nostre. Questo "noi" comincia a diventare una cosa molto strana, perché siamo io, Paolo Virno, Marco Bascetta, Andrea Colombo, Papi Bronzini, Augusto Illuminati e niente di più. Si può dire che c'è stata una diaspora di Luogo Comune. Vengono mantenuti dei forti rapporti personali, questo sì, nel senso che Sergio Bianchi lo sento mediamente due volte a settimana, lo vedo una volta ogni dieci giorni, spesso discutiamo di quali sono i libri che bisognerebbe fare e tradurre, ma è un rapporto dove la dimensione personale primeggia rispetto a quella politica. Insomma, non c'è più quel gruppo che a un certo punto ha fatto la scommessa della politica, questo no, anche perché l'ultimo tentativo che abbiamo fatto è stato un vero smacco.


Secondo Alquati l'operaismo si è mosso all'interno di un poligono, con i cui vertici ha cercato di fare i conti, riuscendovi solo in parte o non riuscendovi proprio: questi oggi sono grossi nodi aperti, rispetto a cui una rielaborazione critica dei limiti e delle ricchezze di quelle esperienze può essere fondamentale. Un vertice è rappresentato dagli operai e dalla loro soggettività, in generale mai affrontata in pieno quando non addirittura trascurata: da qui il suo insistere (fin dalla fine degli anni '50) sulla centralità della soggettività. L'altro vertice è rappresentato dalla politica e dal politico. Poi c'è la cultura, rispetto ai cui modelli egemoni sono state portate avanti delle critiche: però, tutto sommato, anche in molti ambiti operaisti, e nelle sue cerchie di simpatizzanti, ha finito per prevalere la concezione tradizionale della cultura esplicita e umanistica, e la classica figura dell'intellettuale organico non è stata messa granché in discussione né tanto meno superata. Un altro vertice è costituito dalla questione giovanile e generazionale. Quali nodi tu individui come aperti e centrali per una rielaborazione critica che guardi al presente e al futuro?

Rispetto all'operaismo il nodo della soggettività operaia è importante, è un dato di fatto. C'è una frase molto bella di Tronti in "Lenin in Inghilterra", quindi "Operai e capitale", dove lui cerca di spiegare la passività operaia, e dice: "la passività operaia, anche se non dà luogo a conflitto, e quindi non dà luogo a organizzazione, quindi non dà luogo alla politica, è espressione dell'autonomia operaia, il costituirsi come classe". Quell'aspetto lì secondo me è ancora rilevante ed aiuta ad attraversare le ambivalenze che le soggettività messe al lavoro hanno: sono vere e proprie ambivalenze, nel senso che un'interpretazione ha lo stesso peso specifico di un'altra magari opposta. Però, quello è un aspetto che devi assumere fino in fondo, attraversare, bere il calice amaro (perché spesso è tale): secondo me lo strumento ideale è l'inchiesta, o la conricerca, la possiamo chiamare in molti modi. Anche se va detto che gli operaisti, tolti alcuni casi specifici, conricerca l'hanno spesso citata ma mai fino in fondo praticata, mentre invece sarebbe il caso di praticarla davvero. Questa, per chi svolge un lavoro come il mio, che ha a che fare con l'informazione, è una scommessa su cui misurare le tue capacità di relazione, di ascolto e di riconoscerti però come forza lavoro: per me la conricerca significa che tu ti riconosci come forza-lavoro quando la fai. Quindi, questo è un aspetto importante che rimane dell'operaismo, è una delle eredità più proficue. Sulla dimensione politica, secondo me è meglio stendere un velo pietoso, perché tutte le ipotesi politiche che hanno attraversato l'operaismo (e sono più di una) sono state un piccolo disastro. Quella di Tronti, semplificata in un bel libro (va riconosciuto che è bello) che è "L'autonomia del politico", è stata complicità con un'organizzazione del Movimento Operaio che a un certo punto io ho sentito come nemica, e con una grande capacità di riduzione della ricchezza che io vedevo nei movimenti a cui partecipavo. Dunque, l'autonomia del politico secondo me era un cortocircuito che strozzava. Tronti rivendica ciò fino in fondo, anche in quest'ultimo libro che ha fatto, "La politica al tramonto", e anche quello è un bel libro perché il nostro sa scrivere bene; però, è una pazzia se lo si assume come rilettura anche di quello che è stato il '900 operaio (non il '900 come espressione generica).

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