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INTERVISTA A MARIO TRONTI - 8 AGOSTO 2000

Per quanto riguarda i limiti io ne ho ragionato a lungo, però non ancora in modo esaustivo e definitivo, infatti adesso, se farò l'introduzione a questi volumi di raccolta dei materiali, voglio finalmente tracciare un profilo se non definitivo certo importante. Ne ho accennato in vari modi in altre cose, in altri discorsi, la mia idea è che ci siano stati i limiti soggettivi costituiti dal fatto di essere gruppo, che è un limite oggettivo e invalicabile, almeno per me lo è stato sempre: io non credo che nelle grandi lotte o nelle grandi fasi della storia si possa agire come gruppo, io non ho mai aderito a quelli che poi saranno i gruppi, i quali poi si sono moltiplicati. Qui c'è una gran confusione, adesso io con questa idea che dice "Quaderni Rossi e Classe Operaia punto" intendo dire che poi dopo comincia un'altra storia, che è la storia appunto dei gruppi e che non ha niente a che vedere con queste prime esperienze di quello che io chiamo l'operaismo politico degli anni '60, che è l'operaismo di Quaderni Rossi e di Classe Operaia. La storia che sta a cavallo ma soprattutto che segue il '68 è quella dei gruppi minoritari, di Lotta Continua, di Potere Operaio fondamentalmente, che è quello che più ha rivendicato l'eredità dell'operaismo, ciò a torto, perché non c'è nulla o c'è pochissimo in comune; io non sono mai stato né in Lotta Continua né in Potere Operaio, anche se certe volte si fa confusione, alcuni mi dicono "ah, tu eri in Potere Operaio", ma quella era l'esperienza dei gruppi, di Avanguardia Operaia, di queste cose che subito hanno assunto una dimensione (anche determinata dai tempi) anti-politica, anti-partitica, questi gruppi più andavano avanti e più trovavano come loro avversario principale le organizzazioni del Movimento Operaio, per una dialettica interna tipica dei gruppi che più si sviluppano, più si chiudono e più si incanagliscono in un contrasto che non è quello giusto. In Quaderni Rossi e Classe Operaia era molto visibile il quadro dello scontro e del conflitto, che era operai e capitale, per dire una formula quello era; questo poteva anche creare un conflitto appunto con i sindacati, con i partiti della sinistra, però quella era una cosa che veniva in seconda istanza e non per scelta nostra ma semmai per scelta delle organizzazioni. Invece molto spesso questa attività di gruppo, che è quella che ha fatto sì che io non abbia mai avuto molto a che fare, era il contrario, cioè si perdeva il conflitto vero, di sostanza, di classe per spostarlo su un conflitto contro le organizzazioni del Movimento Operaio. Questo ebbe conseguenze devastanti che non a caso poi hanno portato alcuni (anche in buona fede, io riconosco tutta l'onestà di queste persone) a prendere le decisioni estreme della lotta armata, del terrorismo, che anch'esso aveva lo stesso tipo di logica, la quale vedeva il nemico principale nelle organizzazioni, spostando ciò addirittura su un terreno di violenza che era del tutto estraneo, era impensabile al tempo dei Quaderni Rossi e di Classe Operaia. Qualcuno ci ha indicato come cattivi maestri, ma che non ci fosse una continuità era chiarissimo, per me lo è sempre stato, anche quando in Operai e capitale si usano quelle frasi che poi sono state prese come etichetta, le quali sono un'analisi: "poi tutto questo non sarà senza il massimo della violenza"; ma nessuno mai pensava a una violenza di tipo terroristico, anarchico, individualista, la violenza era quella delle masse, la violenza rivoluzionaria di forze organizzate, era la violenza rivoluzionaria che si esplica in grandi atti, che muove masse intere, non quella che si va sparacchiando qua e là, questa era nella tradizione anarchica e quindi non aveva niente a che vedere. Il limite di quella esperienza è che in parte poi è stata anche un po' responsabile di queste derive, in alcune teorizzazioni che poi se non al terrorismo sono arrivate ad altre forme di violenza, come quelle dell'Autonomia che è anch'essa un'altra cosa. Ecco perché io dico l'operaismo politico.
Però c'è una considerazione più di fondo, a cui ho accennato anche in altre cose per indicare il limite dell'esperienza, anche nel mio ultimo libro, "La politica al tramonto", nel primo saggio ci sono degli accenni a ciò: l'idea mia è che noi, per entusiasmo giovanile, per esuberanza intellettuale, molto giustificata e di cui non mi pento, anzi sono cose belle lo stesso anche se sbagliate, fummo vittime di un'illusione ottica. Lo dico con un'immagine perché ormai penso che bisogna usare nel momento della scrittura, a cui tengo molto, anche le armi della metafora: il rosso c'era nella situazione di quel tempo (la metafora era questa), però non era il rosso dell'aurora ma era il rosso del tramonto.

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