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INTERVISTA A MARIO TRONTI - 8 AGOSTO 2000

Invece, ricostruire questa lunga storia significa poi ridare armi, dire: "allora questa storia è arrivata fino a qui, come si continua?". E' il grande tema dell'eredità: l'eredità del movimento operaio chi la prende? Non si tratta di dire che adesso continuiamo a fare le lotte operaie, no, il fatto è che qui c'è un'eredità storica di questo tipo, lunga di secoli e non di anni o di decenni. Una sinistra che fosse stata qualcosa di serio si metteva in questo solco e diceva: "abbiamo dietro questa storia lunga, ricicliamola, rinnoviamola, rileggiamola, andiamo avanti". Come fai a presentarti senza più questa storia, anzi dicendo: "no, questa storia non ci interessa, noi non c'entriamo niente, quella era un'altra cosa, noi siamo il nuovo che avanza"? Ma dove avanza se non ha dietro niente? Io lo chiamo il suicidio politico di quello che è stato il movimento operaio. Allora, ricostruire attraverso anche alcune di queste iniziative può essere una cosa da fare e un lavoro che può far parte di ciò.


Rispetto agli annali sull'operaismo politico che stai facendo, oltre alla ricostruzione storica che intenti ci possono essere nell'attualizzazione politica?

Rispetto all'attualizzazione politica è difficile dirlo, lì bisogna proprio evidenziare il tipo di esperienza con le sue caratteristiche che dicevamo. Io accentuo questo lato di un'esperienza fortemente intellettuale innovativa, molto molto novecentesca. La metto molto dentro il '900, dentro questo secolo stupendo che abbiamo concluso, in cui c'è stato di tutto: odio questi detrattori del '900, questi stupidi che parlano del secolo delle tragedie, "per carità, non parliamo più del '900". E' un secolo in cui c'è stato di tutto e quanto di meglio, poi insomma che il quanto diventi anche tragico non è poi questa grande novità della storia, tutto ciò che è grandioso ha in sé qualcosa di tragico, soltanto la commedia è piacevole da raccontarsi. Dunque, questa dell'operaismo io la considero un'esperienza intellettuale del miglior '900, di un secolo critico, è nel solco delle migliori tradizioni di un secolo che si apre con la rottura delle avanguardie: questa storia dell'operaismo è in quel solco, è una rottura delle forme politiche classiche alla ricerca di qualcosa d'altro. Quindi, in questo senso va molto enfatizzata. L'attualizzazione credo che sia difficile, però quando hai fatto emergere queste esperienze poi conta il fatto che ci siano state, perché noi ci siamo formati in quella cosa, ma fare emergere questa esperienza può formare anche altri, può essere un elemento di ulteriore formazione, per esempio quei ceti di cui dicevamo prima, rimettere in rapporto quegli strati può creare un elemento di crisi per chi si è insediato in certi luoghi, e un elemento invece di spinta per gli altri che, come dicevamo, stanno lì, che non sono emersi ma che possono ritrovare una ragione anche di presenza pubblica. Quindi, queste sono operazioni che sai che come le tocchi non sono mai neutre, per quanto ne vuoi fare un motivo di analisi distaccata poi in realtà toccano nervi scoperti e arrivi sempre a mettere in moto poi meccanismi anche emozionali a volte, memorie appunto. Ma io, ripeto, tengo molto a questo tema della memoria. Tra l'altro questa dannazione della memoria in tutti i sensi mi pare una delle caratteristiche devastanti di questo periodo, poi è molto funzionale a queste forme di innovazione capitalistica: è proprio una mentalità capitalistica quella di muoversi solo per innovazione senza tradizione. Per esempio, il grande tema della tradizione io l'ho riscoperto in questi anni anche attraverso la frequentazione del pensiero cosiddetto reazionario, in cui è molto sottolineato questo elemento: ma la tradizione non è affatto un terreno nemico, tutte le grandi forze storiche partono dalla tradizione. Io parlo di tradizione operaia, c'è una tradizione operaia, c'è un passato operaio che ha tramandato delle cose, delle idee, forme, pensieri, modi d'essere: come fai a perdere tutto questo? La tradizione non è affatto in contrasto con la rivoluzione, sono due aspetti di uno stesso processo. Uno dei limiti, forse anche mortale, della rivoluzione bolscevica, che pure è stata una rivoluzione operaia, è che non è stata capace di ricostruirsi appunto una tradizione, comunque non si è reimmessa nella grande tradizione del movimento operaio: ha cercato magari altri tipi di tradizione, quella nazionale russa, invece che immettersi nel ciclo della tradizione del movimento operaio e sentirsi parte di quella roba lì. Quella era l'unica cosa che poteva loro permettere un superamento del limite del socialismo in un paese solo, cioè il socialismo in un paese solo però dentro un solco che è quello di una tradizione di un movimento operaio che viene da lontano.

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