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INTERVISTA A MARIO TRONTI - 8 AGOSTO 2000

Io ho in mente altre cose, ma ciò è più tradizionale da questo punto di vista, hanno un po' un sapore di antico, però mi considero anch'io un'antichità del moderno: a me interessa molto e devo trovare il modo per fare un discorso che faccia riemergere la memoria operaia. Io credo che ci sia una memoria storica della classe operaia e oggi, più che il problema di farla emergere, forse c'è il problema più drammatico di non farla disperdere, perché il pericolo è proprio che si disperda nel nulla. Questo lavoro sulla ricostruzione di Classe Operaia e di Quaderni Rossi è una parte di ciò, però ce n'è un'altra parte: un paio di anni fa noi abbiamo fatto un convegno a Piombino su "Identità della classe operaia, realtà e prospettive" e adesso dovrebbero uscire gli atti che sono stati raccolti, ho fatto anche una conclusione, era l'Archivio Storico di Piombino che si era fatto promotore di questa cosa. Ma io rimasi meravigliato di come si raggrupparono lì una rete di storici, anche di mezza età, proprio del mondo operaio, delle lotte operaie, della vita della classe operaia, i quali coltivano anche loro questo tipo di studi a volte legato a situazioni specifiche, per esempio alla fabbrica di Piombino o dintorni, a volte con un discorso più generale di storia della classe operaia. Quando uscirà questo libro vorrei organizzare una sorta di convegno proprio su questi temi di ricostruzione della memoria operaia, anche attraverso il sindacato milanese e lombardo che vogliono fare una cosa di questo tipo, lì ci sono delle persona abbastanza sensibili a questi temi. Vorrei fare una sorta di archivio, anche se questa parola è brutta, infatti preferisco chiamarlo un atlante della memoria operaia. Io lo penso molto nel termine di Varburg, un personaggio straordinario, era un vecchio banchiere tedesco che aveva un'industria con dei fratelli, a un certo punto si è fatto liquidare la sua parte di patrimonio e ha costruito un atlante di una memoria storico-artistica, ha fatto una sorta di museo a vari strati, a vari piani, leggendo iconologicamente alcune cose dall'arte antica a quella moderna e contemporanea; ha fatto questa mnemosine come lui la chiamava e ha costruito appunto questo atlante di una memoria artistica. Un'idea che mi sta in testa da tanto tempo è proprio questo atlante della memoria operaia, che ricostruisca un po' questo mondo a vari livelli, intanto di documentazione delle lotte, delle forme organizzate, di organizzazione anche della società.
Io parlo di questa storia lunga del movimento operaio perché un errore che abbiamo fatto anche noi (ecco un altro limite di quella esperienza) è che ci siamo lasciati troppo chiudere dentro epoche strette: questo errore devastante che ha fatto la sinistra (proprio per mentalità subalterna, perché sono dentro questi meccanismi) è di far credere e di credere poi loro stessi che in fondo tutta la storia del movimento operaio si è ridotta alla costruzione del socialismo in alcuni paesi, quindi quei settant'anni di storia, per cui chiusa quella è chiuso tutto. Ciò senza pensare che quella del movimento operaio è una storia lunga, è una lunga durata che parte da molto lontano, dalle prime forme di accumulazione primitiva, dalle prime forme di rivoluzione industriale; ci sono varie figure di operaio, l'operaio-massa arriva a un certo punto ma non saltando tutto quello che c'era prima, il tipo di operaio professionale, ma il tipo ancora precedente era l'artigiano che diventa operaio. C'è una storia che bisogna possedere per intero che non è storia del lavoro ma è storia delle figure non tanto di lavoratore generico ma delle figure operaie. Noi anche lì abbiamo troppo isolato l'operaio-massa come se fosse un'irruzione venuta dal nulla, mentre c'è la carica di storia che si era accumulata su questa figura e proprio perché si era accumulata questa figura era interessante, perché non era qualcosa di completamente nuovo. Allora, è importante ricostruire questa storia lunga del movimento operaio, quindi ricostruirne anche la memoria perché poi tutta la storia operaia dell'800 è una storia a sé, tra l'altro una storia diversa da quella che abbiamo visto nel '900, perché è tutta una storia in cui c'era un'autonomia del mondo operaio che si costruiva per conto suo luoghi di socializzazione, di civilizzazione. Anche nell'ultimo libro io dico che il movimento operaio è stato un grande soggetto di civilizzazione, anche della lotta di classe e del conflitto di classe, se fosse stato per i padroni ci si sarebbe sparati a vista tutti i giorni. Invece, il tipo di organizzazione del movimento operaio, le società di mutuo soccorso, le cooperative, i quartieri operai che si sono costruiti fino alla Karl Marx Hof nella Vienna rossa, tutte queste esperienze proprio di società operaia anche autonoma sono storia moderna, di cui oggi è stato cancellato e maledetto il ricordo, perché c'è stato il crollo del muro, ci sono state queste frescacce, perché lì dicono che è fallito il comunismo. Ma che fallimento, quella è un'esperienza che è durata settant'anni, che è stata in quel paese lì, ma bisogna circoscriverla e ripensarla in tutta la lunga storia, metterla là dentro criticamente dentro tutta una storia lunga: ma come si fa a dire che è tutto finito e fallito? E' proprio una mentalità di chi subisce un'offensiva che poi è un'offensiva culturale degli altri e non è capace nemmeno di capire di cosa si tratta.

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