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(pag. 15)
INTERVISTA A MARIO TRONTI - 8 AGOSTO 2000

Però anche lì io la vidi come una forma di intervento, anche se il rapporto anche personale e umano con la cosa era molto diverso da quello con le riviste operaiste, dove c'era un rapporto e una tensione umana molto più forte, mentre qui c'era un distacco evidente. Era insomma uno strumento che veniva visto molto più dall'esterno che dall'interno. Questa cultura politica italiana si è espressa molto per riviste, ha avuto questa caratteristica di avanzare ogni volta con iniziative di riviste; adesso credo che sia finita anche quella stagione lì, perché non c'è più l'acqua in cui nuotare, cioè il dialogo pubblico mi pare che non esista più. Vedo che voi accentuate molto nel discorso del progetto il momento dell'operatività di questo vostro lavoro, un discorso mirato anche a costruire nuove forme o di militanza o di soggettività politica antagonista come dite voi: questo francamente, per quanto mi sforzi di guardare, non riesco a vederlo.


Questa è una cosa velleitaria, nel senso che l'idea di fondo è di cercare di capire determinati processi e di acquisire gli strumenti di formazione e di comprensione di tutta una serie di cose, che non solo non abbiamo ma ci confrontiamo con la situazione odierna che è quella che è, nel senso che ovviamente le soggettività sono sempre frutto da una parte delle capacità, dell'intelligenza politica e di analisi, dall'altra parte sono però anche frutto delle situazioni che oggettivamente ci si ritrova davanti. L'idea è appunto di capire da una parte che cosa è stata questa soggettività che comunque è stata importante e ricca, nonostante gli esiti che ci sono stati; dall'altra parte formulare alcune ipotesi su come si forma e su come si è formata, secondo me solo in quella specificità lì degli anni '60 e '70, questa possibilità che c'è stata. C'è questa idea da mettere a verifica: ci sono stati alcuni personaggi, estremamente pochi, che avevano un'autonomia di proposizione teorica e anche di ricerca effettiva; sottostante c'è stato un livello di conflitto e di movimenti che hanno fatto da committente a una ricerca e a una costruzione di pensiero; e tra questo livello e quello delle poche persone che avevano questa autonomia di formare teoria e di formare pratica, si è creato uno strato di un'intellettualità più diffusa (sottostante però) che aveva come committenza i movimenti e come direzione di traiettoria e di indirizzo questa effettiva autonomia che c'è stata, che poi secondo me è rappresentata da un quadro di persone che sono abbastanza limitate, nel senso che stanno sulle dita di una mano. Lavorando in alcuni specialismi tra la committenza e questa direzione c'è stata questa grande costruzione di scienza che in qualche modo è stata ambigua e che però ha costruito una diversità effettiva in quegli anni. Poi, finiti i movimenti e la spinta del conflitto, mentre chi aveva un'autonomia effettiva ha continuato a mantenere salde alcune caratteristiche e alcuni punti di vista, la parte di mezzo invece è finita (magari anche in buona fede) in una dimensione che è stata poi utilizzata sistemicamente. Tu parlavi del '68 come rinnovamento della dimensione capitalistica della società: ciò ha permesso anche un rinnovamento della stessa scienza capitalistica. Nei suoi specialismi se si va a vedere tutta una serie di persone (non in malafede, ma proprio perché è mancata una diversa direzione) si sono collocate in ambiti lavorativi o in ambiti anche di realizzazione in cui, pur mantenendo magari un'autonomia personale, sono utilizzate sistemicamente. In tutti quelli che noi intervistiamo vediamo che il momento della formazione è ricordato non in termini negativi ma di una potenza effettiva, e poi anche come l'ambito che ha dato gli strumenti specifici che, nel momento in cui i singoli soggetti si sono collocati (volenti o nolenti, per problemi di sopravvivenza o di scelte e via dicendo) negli ambiti istituzionali, sono loro serviti per poter primeggiare in essi. Questa è una lettura ovviamente da verificare, però spiegherebbe il perché oggi per esempio il processo capitalista può avvalersi di tutta una serie di soggetti in più che lui non si è prodotto ma che ha inglobato e che oggi sono quelli che bene o male gli reggono la dimensione sistemica. Dunque, il nodo è come si forma questa intelligenza e questa scienza e di come poi se non è all'interno di un progetto organizzativo contrapposto (e oggi non ci sono possibilità di questo), inevitabilmente funziona dal punto di vista capitalistico.

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