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(pagg. 12-13)

> Attualizzazione politica dell'operaismo
(pag. 15)
INTERVISTA A MARIO TRONTI - 8 AGOSTO 2000

Infatti dopo, lo dico anche in questo libro, il '68 fu un grande processo di modernizzazione della società italiana; lì la contestazione poi nel lungo periodo è stata utilizzata più dagli altri, nel senso che il capitalismo italiano e le classi dirigenti italiane si sono servite di quel processo di modernizzazione per scaricare via la vecchia Italietta e fare questa Italia nuova, però questa Italia capitalistica nuova, non è che ha fatto l'Italia diversa da una società capitalistica. Tanto è vero che poi tutta quel ceto che è emerso nel '68 è stato riciclato dentro le classi dirigenti attuali e lo ritroviamo nei luoghi di comando a tutti i livelli: è servito insomma più agli altri, il che è tipico di movimenti che, non avendo una natura di classe e un radicamento di classe, sono facilmente egemonizzabili dagli altri, dagli avversari. Io nel '68 guardavo un po' alla finestra, la cosa che si svolge nelle università o nelle scuole non è che mi potesse entusiasmare più di tanto. Quindi, partecipai a Contropiano però con quei saggi che di nuovo richiamavano il tema del partito e via dicendo. Poi quando andai all'università di Siena cominciai insegnando filosofia morale, poi filosofia politica, iniziai a fare questi corsi sul pensiero politico classico e andando avanti ricostruì un po' questa matrice realistica del politico, studiando Hobbes, la rivoluzione inglese, i temi della ragion di Stato.

Parlando dei percorsi successivi, quella fu un fase che aveva in sé un'ambiguità difficile da far capire, ma è un fase non compresa. Io lì avevo in mente ancora di nuovo la stessa cosa, come sempre, pensavo che si dovesse armare la pratica politica dei comunisti con un'idea nuova della politica, con un'idea antica nella modernità, con quell'idea realistica e non ideologica della politica, con quella cruda analisi delle forze in campo, con un privilegiamento del motivo dei rapporti di forza in politica, perché il partito potesse poi vincere nella competizione politica. In questo c'è quella famosa formula dell'autonomia del politico, che in questi gruppi di derivazione operaista ha suscitato non solo diffidenza ma è stata vista come una sorta di resa, di fuoriuscita dalla tradizione operaista: io invece tengo molto molto a questa continuità di percorso, secondo me il discorso dell'autonomia del politico è implicito già nell'esperienza operaista, almeno per come l'ho vista io, per come io l'ho inquadrata, certo non in tutti i protagonisti, ma sono delle cose molto affini e tutte complementari. Che la soggettività operaia dovesse fornirsi in fondo di una teoria politica altrettanto forte quanto era forte la sua soggettività sociale, quindi una teoria forte della politica che era una teoria realistica della politica, questa è stata una cosa che c'era già implicita prima e che il discorso sull'autonomia del politico rende soltanto esplicita, e non è affatto in contrasto con l'esperienza operaista. Però, quella fu appunto una strada abbastanza isolata: mentre l'operaismo creò, ricreò un collettivo, questo discorso sull'autonomia del politico è stata un'esperienza abbastanza solitaria; assieme ci fu un gruppo di giovani collaboratori, ma insomma non era certo paragonabile al collettivo che fece poi le riviste operaiste di cui parliamo.


Per completare il discorso delle riviste che hai fatto, poi ci fu anche Laboratorio Politico.

Laboratorio Politico venne molto più tardi, credo nei primi anni '80. Questa fu un'esperienza completamente diversa, anche lontana dallo stesso Contropiano, perché fu una rivista veramente tutta di intellettuali. Anche lì io coordinai la cosa, quindi fui abbastanza parte dirigente, però ne ho un ricordo non eccessivamente simpatico. Fu un'esperienza in cui teorizzammo la necessità di unire vari specialismi, che poi erano dati da nomi anche notevoli di personalità intellettuali, ebbe anche un certo seguito, una certa funzione, con anche dei buoni contatti internazionali, anche delle buone elaborazioni. Però, oggi la vedo anche lì con l'idea di fornire alla sinistra (già si parlava meno di movimento operaio e più di sinistra) degli strumenti un po' più raffinati di analisi e di conoscenza delle cose e questa funzione senza dubbio la assolse. Oggi, a distanza di tempo, la vedo molto dentro i processi di modernizzazione di quelli che poi saranno gli anni '80, mi sembra un'anticipazione di processi che anch'essi poi saranno in mani altrui e molto interna anche a meccanismi di gestione, di governo, più di ammodernamento degli strumenti di gestione che di rottura degli schemi, dei modelli, di comprensione della realtà o di intervento su di essa. Sarà un tipo di rivista molto più interna ad un ambito intellettuale anche con qualche caduta accademica, tanto è vero che poi quelle personalità che fecero la rivista sono un po' tutti molto ben visti dentro le strutture accademiche della ricerca, senza capacità e possibilità di fuoriuscirne.

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