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> Percorso di formazione politica e culturale e figure di riferimento
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> Quaderni Rossi e Classe Operaia come laboratorio di formazione
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> Analisi critica delle diverse posizioni nei Quaderni Rossi e in Classe Operaia
(pag. 8)

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(pag. 9)

> Laboratorio Politico
(pag. 11)

> Avanguardie, militanti, movimenti di classe; la formazione di un'intellettualità diffusa
(pagg. 12-13)

> Attualizzazione politica dell'operaismo
(pag. 15)
INTERVISTA A MARIO TRONTI - 8 AGOSTO 2000

Quella è una cosa su cui anche in questo saggio voglio insistere parecchio perché è una caratterizzazione molto molto forte dell'operaismo, è forse la sua più forte originalità rispetto ad altre esperienze operaie: si tratta di quell'asse che si costituì lì tra quell'esperienza politica operaista e quel tipo di cultura che veniva da tutt'altri luoghi, anzi da luoghi esattamente opposti, perché era una cultura della grande decadenza borghese, con forti spunti irrazionalisti, ma con grande attenzione a tutto il fenomeno delle avanguardie artistiche, storiche, nelle arti figurative, nella letteratura, in poesia, nella musica. Mi ricordo che quando nell'introduzione a "Operai e capitale" vennero fuori le figure che io accostavo sempre e continuo ad accostare come binomio, Mahler e Musil, ci fu un po' uno sconcerto, mi si chiedeva cosa c'entrasse: invece, da quel tipo di marxismo critico da cui venivamo l'approdo fu a questa scoperta e a questo orizzonte perché vedevamo lì una cultura fortemente alternativa alla cultura tradizionale nel senso comune, intellettuale, corrente, soprattutto quella della sinistra in primo luogo, del Movimento Operaio. Questo non sapeva nemmeno che roba era quella, e comunque aveva una diffidenza, tutti attaccati al Lukàcs de "La distruzione della ragione", per cui tutto il filone irrazionalista da Schopenauer a Nietzsche secondo loro era confluito nel nazismo ecc., cosa che noi cominciammo a contestare: quella era una cultura critica proprio dell'orizzonte capitalistico, tutto il pensiero negativo era una critica implicita al senso comune borghese. Quella fu una grande operazione a cui io sono molto legato, poi è stato un momento della mia formazione a cui non rinuncerei mai, perché veramente mi ha fatto capire un sacco di cose e mi ha portato successivamente a coltivare ambiti che poi mi sono stati rimproverati da varie parti, anche nella fase di studio delle teorie politiche, cioè tutto l'ambito della rivoluzione conservatrice, ossia il pensiero cosiddetto di una destra culturale e non politica, di cui noi dicevamo (cosa che continuo a pensare) che il nazismo se ne appropriò per conto suo, per bisogni suoi: ma che si debba regalare Nietzsche alla destra e al nazismo è una follia, lui è una miniera di cose nostre, tutto il pensiero nichilista a mio parere è un pensiero rivoluzionario. In Contropiano c'era molto questa operazione che poi si è raccolta intorno alla figura di Cacciari, che l'ha svolta ai massimi livelli, un po' anche Asor Rosa ma meno per via dei suoi diversi specialismi, la letteratura italiana in particolare. Questo poi per me è stato importantissimo, perché ancora oggi mi ha portato a conoscere e a utilizzare, nella fase appunto dello studio del politico, la figura di Schmitt, che viveva in quell'ambito lì; anche quelle sono cose che poi io non sono riuscito a far capire a nessuno, adesso ci ho rinunciato, non perché questo personaggio sia così importante per una teoria politica rivoluzionaria, ma perché era il filone del realismo politico, poi lì attraverso quello scoprì tutta quella grande stagione del realismo politico classico, di Machiavelli ecc. Contropiano diede praticamente l'avvio a questa rivisitazione di quel mondo culturale, ma, ripeto, questo era molto implicito nell'esperienza operaista, infatti c'era già nello stesso "Operai e capitale" quell'idea "meglio un grande reazionario che un piccolo rivoluzionario". Questi cosiddetti reazionari erano talmente grandi che non potevi stare a giudicare se stavano poi da una parte o dall'altra perché erano personaggi di cui dovevi comunque tener conto e anzi dovevi farli propri. Poi io ho sempre avuto molto forte questa idea della ricerca intellettuale come conquista di territori dell'avversario stesso, sottrarre territori a un avversario, anche territori culturali, sottrarli e utilizzare anche il pensiero dell'avversario a propri fini: io ho sempre l'idea della ricerca intellettuale come guerra, sei lì su un campo in cui ti devi misurare e anche con l'abilità devi conquistare terreno, e se tu lasci terreno agli altri poi rischi di indebolirti. Ho questa idea di una capacità di pensiero fortemente egemonico che conquista anche quello che non è tuo. Questo in Contropiano c'era già tutto, io ero un po' fuori nel senso che, ripeto, ho guardato il '68 alla finestra, proprio perché a noi che venivamo dall'esperienza delle lotte operaie questo sembrava un movimento francamente minore anche se aveva molta più risonanza dell'altro; in realtà già il fatto che lì si parlasse di potere studentesco a noi che avevamo parlato di potere operaio faceva un po' ridere. Poi non ho mai pensato che dei fatti generazionali potessero provocare sconquassi veri.

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