>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Percorso di formazione politica e culturale
(pag. 1)

> Il gruppo di Genova
(pag. 3)

> Il PCI a Torino
(pag. 4)

> Limiti e ricchezze dei Quaderni Rossi
(pag. 5)

> Il gruppo torinese dei Quaderni Rossi
(pag. 7)

> Il gruppo di Biella
(pag. 8)

> Il peso di Torino
(pag. 9)

> Il "poligono" dell'operaismo
(pag. 9)

> Percorsi successivi
(pag. 10)

> Rieser e il movimento studentesco
(pag. 11)

> La composizione militante del movimento studentesco
(pag. 11)

> Valutazioni sul '68
(pag. 11)

> L'esperienza nei Verdi
(pag. 12)
INTERVISTA A EMILIO SOAVE - 27 OTTOBRE 2000


A noi interessa soprattutto cercare di capire e concretizzare il ruolo di Torino rispetto alla dimensione generale. Da una parte sicuramente i livelli di lotta che ci sono stati hanno dato un peso significativo, dall'altra parte alcuni hanno sostenuto che Torino non aveva un peso così grosso.


Secondo me ce l'aveva, anche in quella dimensione mitica che aveva Torino, d'accordo va ridimensionata però anche la dimensione mitica ha il suo peso: il fatto che il mito Torino fosse trainante ha la sua importanza. Poi tutti i miti è giusto che siano ridimensionati, però se i miti hanno un valore trainante bisogna valutarli correttamente per quello che sono stati; c'era dunque questo mito trainante e coagulante che era Torino, che voleva dire la grande fabbrica molto più che non Milano, che magari aveva un movimento operaio molto più vivace, molto più differenziato, molto più articolato sul territorio, che non era la città-fabbrica come tutti la intendevano, però non aveva la stessa dimensione mitica e la stessa capacità di richiamo che aveva Torino. Capisco benissimo che Toni Negri, ad esempio, magari tenda a ridimensionare Torino a favore di Porto Marghera o di altre realtà di fabbrica di allora, ma è giusto valutarla anche nel suo peso trainante questa dimensione. Insomma, Genova rappresentava la vecchia classe operaia, quella in declino della siderurgia e degli scaricatori del porto; Milano era questa realtà di sicuro molto più ricca, però non era la città-fabbrica come la si intendeva; Porto Marghera sembrava veramente un altro mondo, la chimica pure aveva un peso anche a Torino e soprattutto a Milano, ma non aveva (almeno nella nostra visione di allora, ma forse anche oggettivamente) quel peso che aveva la grande fabbrica metalmeccanica, come macchina capace di macinare uomini e trasformarli in classe operaia.


Romano sostiene che in fondo l'operaismo politico si è mosso su un triangolo, i cui vertici sono: la cultura e gli intellettuali; gli operai, la classe operaia e l'operaità come dimensione grossa che ha attraversato il '900 e adesso sembra in via di declino, però bisogna capire cos'era e cosa potrebbe ancora essere; il terzo polo è costituito dalla politica intesa come il politico, quindi da un parte la politica istituzionale, il rapporto con le istituzioni, e dall'altra però proprio come il politico. Romano dice che l'operaismo sta all'interno di questo triangolo, ha avuto in maniera diversa delle attenzioni o dei condizionamenti o una relazione con questi tre nodi: in realtà bisogna recuperare una comprensione di cosa essi sono stati e cosa adesso sono ancora o possono essere. Rispetto all'operaità, agli operai e alla classe operaia, lui dice che in fondo c'era un riferimento sicuramente forte, dopo di che il cercare di andare a capire cosa effettivamente è stata questa cosa non è che l'operaismo l'abbia sempre fatto.

Io ho l'impressione però che in questa triangolazione manchi un elemento: in questo ciclo di anni che abbiamo visto c'è comunque un qualcosa che poi prelude il '68, cioè l'affacciarsi del movimento studentesco sulla scena nazionale, allora si trattava solo di embrioni però c'era un qualcosa che potremmo chiamare nuovi movimenti giovanili, quelli che allora erano i bluson noir, i teddy boys, in Olanda c'era un movimento giovanile che aveva un nome che ora mi sfugge. Questa componente dei movimenti giovanili precorreva forse il '68 nel senso che non erano soltanto i figli di papà, ma erano già la prima generazione che entrava nelle università che cominciava a diventare università di massa dopo le prime aperture, il primo accesso poi con i titoli di studio anche da parte dei diplomati alla carriera universitaria, questo per quanto riguarda l'aspetto strettamente universitario. Comunque l'affacciarsi di nuovi movimenti giovanili, che portavano non tanto nuovi valori quanto la negazione dei valori, questo va secondo me tenuto presente, perché se no forse non sarebbe avvenuto quello che è avvenuto. Anche all'interno della fabbrica cominciava ad affacciarsi questa generazione operaia nuova che non aveva valori in assoluto e comunque non aveva i valori della generazione precedente. Senza di che forse non sarebbe scattato tutto, a mio parere se manca quello forse non si capisce. Allora, è vero che l'Italia era la provincia d'Europa, c'era però da parte nostra ma anche da parte di chi si affacciava alla vita politica il riferimento a questi modelli che erano poi quelli inglesi, francesi, americani, olandesi, tedeschi. Se non altro a livello giornalistico questa comunicazione c'era, poi c'era naturalmente nella musica, nella letteratura; ma anche a livello di informazione giornalistica si parlava molto delle nuove generazioni giovanili.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.