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INTERVISTA A EMILIO SOAVE - 27 OTTOBRE 2000


Comunque, c'era questo clima molto colto a casa di Panzieri, di cui era anche parte integrante Vittorio Rieser che veniva da buona famiglia, la madre era Tina Pizzardo che era stata l'amica di Pavese, tradizione di Giustizia e Libertà, il padre che era un ebreo comunista polacco, comunque sia era una famiglia molto colta. Invece, loro come anche altri che capitavano lì sembravano dei lumpen, e lì c'era forse quasi una sorta di divisione classista fra chi diceva "è tre giorni che non mangio perché Pierluigi si è dimenticato di andare a Milano a ritirare dei soldi e stiamo tirando la cinghia" e invece altri che erano satolli e beneducati. Queste cose umanamente poi pesavano anche nelle differenziazioni politiche. Quindi, c'era forse anche questa ulteriore differenziazione che io dico a livello umano per chi in fondo praticava un attivismo sfrenato come eravamo noi, sempre davanti alla fabbrica, sempre a distribuire volantini, a girare le cinquanta fabbrichette dove c'era quel certo aggancio o andare davanti a quell'officina dove si conosceva l'operaio con cui si era fatto il volantino il giorno prima e poi li si distribuiva, si cercava di capire che riscontro poteva avere quel volantino in cui non riesco a immaginare poi che diavolo scrivessimo perché facevamo dei riscontri così precisi magari su quella singola officina o su quella singola pressa che non so se quello che scrivevamo era poi effettivamente una dimensione o un aggancio reale, cioè ce lo aveva ma naturalmente noi lo trasferivamo in modo che non so se era un testo comprensibile; dunque, a noi che eravamo in qualche modo gli attivisti e i galoppini permanenti sembrava forse di portare acqua al mulino di chi invece sopra ci faceva sociologia. Quindi, prima ancora di qualsiasi differenziazione politica c'era questa sorta di distacco in cui ci sentivamo strumentalizzati, perché noi eravamo quelli che facevamo e gli altri erano quelli che invece costruivano letteratura. Peraltro Romano scriveva molto ma lo faceva in una maniera incredibile, aveva una vecchia macchina da scrivere rotta, non sapeva che c'erano anche le leve per passare da una riga all'altra, quindi muoveva il carrello a mano e poi scriveva tra una riga e l'altra; i suoi testi dattiloscritti dei primi anni '60 erano delle cose terrificanti, anche gli articoli che dovevano poi essere pubblicati erano frutto di un lavoro di ricostruzione paleografica!


Vediamo un po' le altre persone presenti a Torino in quel periodo.

Romolo Gobbi è uno che ha archiviato tutto, lui ha tutti i suoi dossier in casa quindi, oltre ad una memoria da elefante, sicuramente tutto quello che non sanno dire altri lui se vuole è in grado di tirarlo fuori. Romolo lo avevo conosciuto io nel '56-'57 quando era ancora cattolico, avevamo cominciato a frequentarci, era un cattolico in crisi, poi via via eravamo diventati quasi un binomio lui ed io. E lui si era fin dall'inizio immedesimato anche con persone come Romano e Pierluigi proprio a livello più umano che politico, perché anche lui aveva un forte spregio, come lo avevano molti di noi, per questa sinistra colta, beneducata e garantita attraverso la sua presenza nella nuova cultura ufficiale di allora, dalle case editrici alle redazioni. Romolo Gobbi poi è quello che diede vita a quel numero unico di Gatto Selvaggio che fu appunto in qualche modo il primo frutto della frattura sorta in seno ai Quaderni Rossi. Gatto Selvaggio come titolo chiaramente riecheggiava le esperienze americane, quindi c'era un aggancio diretto con quello che alcuni di noi teorizzavano, lo sciopero selvaggio come dimensione futura del movimento sindacale, dunque la frattura netta con l'apparato sindacale, mentre come è noto Panzieri puntava soprattutto sul recupero della sinistra sindacale di allora, in particolare tra i metalmeccanici ma anche della sinistra sindacale non solo torinese ma pure romana, pensando di partire dalla sinistra sindacale e da qualche esperienza politica sparsa a ricostruire in qualche modo un movimento politico di tipo più decisamente partitico, pur estromesso dal vecchio PSI a cui inizialmente, ancora quando venne a Torino, apparteneva se ben ricordo, era ancora iscritto al PSI. Direi che Panzieri, senza averlo mai teorizzato, forse pensava a qualcosa di simile a quello che divenne poi il PSIUP, questo sarebbe stato il suo figlio legittimo proprio perché metteva insieme effettivamente spezzoni della sinistra sindacale con spezzoni della sinistra politica di allora, soprattutto di sinistra non di estrazione comunista ma soltanto di estrazione di quella che era la sinistra socialista. Quindi, penso che Panzieri tutto sommato, al di là di quella che era poi invece la spinta verso una cultura diversa, avesse comunque in mente di arrivare ad un partito con una connotazione di quel tipo; però poi giustamente qualcuno gli rinfacciava di essere forse un po' troppo affiliazione della sinistra sindacale, quindi di prestare fianco all'accusa di anarcosindacalismo, anche se questa era un'esperienza storica precisa e conclusa.

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