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INTERVISTA A EMILIO SOAVE - 27 OTTOBRE 2000


Su questo terreno c'è secondo me da fare una riflessione molto articolata su quello che è successo dopo, perché probabilmente proprio l'incapacità di costruire una progettualità politica che fosse adeguata a quella che era la necessità della situazione, ossia a permettere da una parte una spinta anche proprio personale e soggettiva a un tipo di militanti che comunque si erano formati in quei conflitti, e dall'altra a trovare una progettualità per le lotte che riuscisse ad avere degli sbocchi politici, proprio questa incapacità è stata poi la fonte del discorso della lotta armata. Su di questa va detto che da una parte livelli di violenza comunque di massa all'interno delle lotte cerano stati e probabilmente ci sono in qualsiasi forma di lotta che passi un determinato grado di conflittualità; dall'altra parte quello che è successo di significativo è stato che da un certo punto in poi non si riusciva a dare sbocco, obiettivi e risultati politici alla lotta. Allora, in realtà questo discorso dell'uso della violenza era un cortocircuito perché apparentemente sull'immediato sembrava invece che questo desse risultati, sia come ricostruzione di una soggettività che però andava sempre più avanti da sola e autonomamente a scontrarsi, ma soprattutto sembrava che desse dei risultati politici. Perché costruire lotte di massa non pagava più e oggettivamente, raggiunti determinati livelli, la lotta di massa era già in declino e quindi non aveva una forza tale per perseguire obiettivi significativi, non c'era un progetto.


Probabilmente pesarono anche i moti di Reggio Calabria, che Lotta Continua e Sofri sposarono in toto come lotta di massa, quello è stato forse un punto massimo. Lì c'era questo discorso meccanico per cui i giovani operai che si erano formati nelle lotte di fabbrica del Nord e che ritornavano al Sud vi portavano la lotta maturata nelle esperienze di fabbrica a Torino e riproponevano un livello più alto dello scontro, a quel punto coinvolgendo direttamente tutto il territorio che non aveva un'articolazione operaia e compiva questo ipotetico salto di livello nella lotta popolare.


Questo è secondo me un discorso che è proprio trasversale a tutti i gruppi politici; poi Lotta Continua si è fermata molto prima e quindi ha poi avuto solo delle fette della sua militanza che si è spostata sul terreno della lotta armata, però in realtà questo discorso è stato incominciato da tutti i gruppi politici. E l'inizio di questa cosa non è dopo, ma è proprio nel '70-'71, cosa che adesso storicamente non è riconosciuta, per cui sembra quasi che l'inizio della lotta armata siano state le Brigate Rosse, ma non è vero assolutamente perché già la parte di Lotta Continua che formò i NAP, per esempio, cominciò prima.


Condivido. Prima c'era comunque all'interno del movimento studentesco torinese di allora già la pratica dell'azione diretta per fare esplodere lo scontro, e Potere Operaio all'interno del movimento studentesco di allora aveva cose che spesso si concordavano, proprio con Viale e con tanti altri, aveva il ruolo di detonatore, quindi si decideva che quella certa manifestazione doveva avere un carattere pacifico oppure si decideva che quella certa manifestazione doveva avere un carattere violento e serviva a creare lo scontro con la polizia, allora a tavolino si decideva che cosa si sarebbe fatto, dunque se si sarebbero spaccate le vetrine di via Roma o se si sarebbe andati sotto la Prefettura. Quindi, c'era comunque già questo uso, sia pure limitato, dell'azione diretta come detonatore.

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