>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Antonio Banfi
(pag. 3)

> Freud, Marx e la fenomenologia
(pag. 4)

> Il "poligono" dell'operaismo
(pag. 5)

> Ipotesi di una scienza altra
(pag. 5)

> Husserl e la scienza altra
(pag. 6)

> Freud e la razionalità illuministica
(pag. 6)

> Jervis e la soggettività
(pag. 7)

> Soggettività operaia e soggettività politica
(pag. 8)

> Soggettività individuale, soggettività collettiva e formazione di una soggettività altra
(pag. 9)

> Danilo Montaldi
(pag. 10)

> Nietzsche e Heidegger
(pag. 11)

> Arnold Gehlen
(pag. 12)

> Fenomenologia e psicologia
(pag. 12)

> Cornelius Castoriadis
(pag. 12)
INTERVISTA A RENATO ROZZI - 12 MARZO 2001
Scarica
l'intervista
in doc


Scarica
l'intervista
in rtf


Faccio una premessa: io sono in una situazione un po' particolare rispetto all'ambiente della sinistra libera fra il '50 e il '60, perché io ero un guaio per loro. Io mi stavo formando come psicanalista (infatti non ce n'è neanche uno nell'elenco degli intervistati) e come persona che aveva una formazione filosofica di tipo husserliano, Merlau-Ponty e via di seguito: sono stato io il primo tra gli psicologi a interessarmi di Merlau-Ponty in Italia, parlo di quasi cinquant'anni fa. Allora la psicoanalisi, anche in un ambiente così aperto com'è questo, era però sempre qualcosa che non serviva politicamente all'immediato, era solo una forza culturale; e naturalmente poteva essere molto critica nei riguardi del marxismo. Posso dire che però questo ambiente, pur in questa sua chiusura, era veramente aperto, al contrario del Partito Comunista, che inizialmente nei riguardi della psicoanalisi aveva una diffidenza. Infatti, io sono andato a cercare dei contatti per esempio a Praga (Freud è nato in Moravia anche se poi è andato a Vienna giovane), dove c'era stata una grande scuola psicanalitica prima del '48, e direi prima del '39 con l'arrivo dei nazisti; questa povera Cecoslovacchia dal punto di vista degli intellettuali era davvero martoriata. Per merito di Guido Neri avevamo contatti con l'opposizione comunista al comunismo, con Kosik; io sono stato uno dei primi a conoscerlo, avevamo dei rapporti riservati, anche con Patocka, grande filosofo. Queste persone erano a lato, perseguitate, gente che aveva lottato contro il nazismo e adesso era perseguitata anche dal comunismo, e Kosik era nettamente un comunista, Patocka no. Si può dunque vedere che eravamo in un ambiente molto aperto, in cui c'erano delle aggravanti nell'essere critici del comunismo: l'aggravante maggiore era essere di sinistra, perché come si sa in tutta la storia del comunismo e particolarmente in quei paesi lì i primi che ne hanno fatto le spese sono stati quelli dell'opposizione interna. In secondo luogo c'era l'aspetto, nel mio caso in particolare, di partire da una cultura diversa, cioè una cultura di tipo psicanalitico, che parte dall'individuo e non dalle collettività: ha delle idee sulla formazione di ciò che è collettivo, c'è anche il tentativo di Freud di capire i comportamenti sociali, ma in sostanza è una maniera di vedere l'uomo dal di dentro, individualmente, e questo significa semplicemente che per la cultura comunista era un'estraneità. Infatti, ancora oggi si può dire veramente che da un punto di vista della comprensione dell'uomo, dell'uomo singolo e dell'uomo psicologico, il marxismo non ha dato quasi niente, per dirla proprio come stanno le cose. Allora, questo mi poneva in una situazione difficile.
Continuando nelle premesse, all'inizio io ero in una posizione ancora più difficile perché lavoravo "per il padrone" (ho fatto lo psicologo all'Olivetti): ma la situazione era curiosa perché, all'inizio degli anni '60, avevo questi amici con cui in parte mi ero formato negli anni '50 e che non erano mai entrati in una fabbrica. Posso raccontare un episodio curioso: la prima volta che quelli dei Quaderni Rossi sono andati in una fabbrica è perché io gli ho fatto visitare l'Olivetti, erano dei giovani intellettuali che non avevano mai avuto modo di andare in una fabbrica, parlavano della classe operaia ma non l'avevano mai incontrata di persona nella fabbrica. Oltretutto io ero anche l'unico che era entrato alla Fiat, nel senso che attraverso l'Olivetti io avevo fatto due visite alla Fiat dentro nei reparti, in mezzo agli operai: capivo benissimo, avendo studiato il processo di produzione all'Olivetti, il processo di produzione alla Fiat, per esempio sono andato a vedere il reparto presse. Io avevo fatto uno studio sul reparto presse all'Olivetti che è poi stato pubblicato in un libro insieme a Musatti e a Novara, da Einaudi (un mattone, sono le nostre ricerche all'Olivetti). Era una situazione in cui io avevo molto più rapporto da vicino, ma un rapporto non direttamente politico come quelli che stavano all'esterno: però, alla fine per me risultava più politico il mio rapporto, e questa è già una bella differenza da questi miei compagni, io avevo un rapporto molto più diretto su fenomeni profondi psicologici e sociali della classe operaia, tipo i giovani, tipo le nuove lavorazioni. Ho fatto degli studi su quelle situazioni lì: per esempio, un'insorgenza contro il massimo sviluppo della taylorizzazione che è partita dall'Olivetti ed è partita da un nostro famoso studio sulle giostre di montaggio, che ha capovolto la situazione organizzativa dell'Olivetti nel corso dei dieci anni successivi perché hanno capito che era una strada assurda. Ci hanno mandato all'estero a vedere altre fabbriche, alla Philips a Eindhoven o in Francia nelle fabbriche automobilistiche abbiamo incontrato i primi esperimenti che noi già avevamo proposto di tipo riorganizzativo, con responsabilizzazione a gruppi e le isole di montaggio, che poi si sono allargate e sono diventate comuni, e in Italia sono sorte proprio all'Olivetti. Gli psicologi avevano individuato un punto di esplosione del sistema tayloristico, i tecnici l'hanno capito, hanno cambiato e hanno inventato la soluzione del lavoro a isole: questo è storicamente accertato e io sono stato uno degli immaturi protagonisti di questa vicenda, immaturo perché non ho saputo trarne delle conseguenze politiche complessive. Certe intuizioni di allora sono diventate vere al di là di me, io non ho saputo svilupparle.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.