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INTERVISTA A RENATO ROZZI - 12 MARZO 2001

Jervis ha scritto un libro, "Presenza e identità", in cui entrava nei termini della soggettività: tu cosa ne pensi di come è trattata la questione?

Io sono stato amico di Jervis. Quando sono andato da Basaglia, nel periodo in cui non era ancora noto, c'erano già lui e Pirella insieme, erano giovani ed erano a Gorizia. Allora lui era contro la psicoanalisi, era uno psichiatra, giovane, aperto alle interpretazioni di tipo marxista libero, aperto a Sartre, ma pensava che la psicoanalisi non fosse scientifica. Attraverso varie situazioni, tra cui una crisi personale e un'esperienza dell'insufficienza della posizione soltanto basagliana, lui via via è diventato uno psicanalista. Anche lì avviene un percorso di diversificazione notevole di posizioni che storicamente erano avanzate: quando Jervis era uno psichiatra ha incontrato la capacità eversiva di Basaglia. Via via questa posizione si è rivelata insufficiente: non è che negasse la malattia mentale, ma la interpretava solo da un punto di vista sociologico come la reclusione dei poveri, devianti e via di seguito. Andando a fondo nell'animo umano, visto che con i matti aveva a che fare, ha capito che per capirli doveva fare ipotesi cliniche, e via via ha ritenuto che le più serie siano quelle di Freud. L'ultimo suo libro, "Il secolo della psicanalisi", è molto interessante perché in un saggio di 80 pagine (poi ce ne sono degli altri) fa un bilancio della psicanalisi anche da questo punto di vista, mostrando appunto sia l'aspetto scientistico-illumista, sia l'aspetto estremamente avanzato che è ancora aperto oggi. Questo è in parte ciò che lui ha vissuto come progressione, tanto che è entrato in rottura con Basaglia perché questi rappresentava l'elemento eversivo non psicanalitico. Io ho visto Basaglia trattare male un mio amico psicanalista. Come psicanalista io ero accettato perché avevo lavorato in fabbrica, con gli operai, se no Basaglia proprio non li voleva. Posso quindi dire che c'era una confusione creativa, c'era la generosità e la validità di Basaglia, che era un uomo trainante in un periodo bellissimo: è il periodo più bello della mia vita, la liberazione dei matti è stata l'unica cosa a cui ho partecipato politicamente riuscita. Io li ho ancora adesso (sono qui nelle scuole di questo paese e in una villa di Cremona): sono stati liberati dal peggio, ma sono ancora chiusi, sono ancora matti, sono ancora dei poveri diavoli. Qui siamo riusciti a far sì che le condizioni umanamente degradanti di queste decine e migliaia di persone chiuse nei manicomi avessero fine. Io sono stato nel Sud, ho insegnato là, ho visto delle cose terribili nei manicomi. Questa è una delle cose che la gente dimentica e che non era così estranea a tutto l'ambito dei temi che affrontate voi, la soggettività, la classe operaia ecc. Anche il Partito Comunista all'inizio non è stato dalla parte di Basaglia. Come la Chiesa cattolica, il Partito Comunista non ha mosso quelle idee forza (riprese da Pannella) come l'aborto, il divorzio, che riguardavano soprattutto il mondo femminile. Poi le riprende ma allora è già tutto diverso. La soggettività non è più quella eticamente impegnata nella lotta che l'avrebbe resa eroica, quella contro il fascismo, quella che ha dato a qualsiasi comunista una rendita etica fin troppo grossa per tanti anni, un'ammirazione molto forte. Molti degli amici fra questi che avete intervistato avevano dei padri fascisti e sono diventati delle persone che hanno capovolto la situazione. Perciò i capovolgimenti sono tanti soprattutto se torniamo al problema della soggettività, che mi sembra il tema centrale. C'era l'idea di una soggettività come quella che era impegnata alla morte nella lotta per la Resistenza e che, ripeto, ha destato ammirazione e ha dato una grande rendita etica e un grande afflato culturale al Partito Comunista. Non che stia seguendo la linea di quelli che dicono che la cultura era tutta in mano al PCI, non è vero, però esso aveva questo aspetto di essere riuscito a centrare gli elementi soggettivi degli unici veri combattenti per la libertà, o meglio, non gli unici, ma quelli sicuramente più rigorosi, che ponevano anche il problema della Resistenza come capovolgimento strutturale della società. Però, è tutto cambiato da allora, ci sono tanti passaggi successivi e soprattutto l'incontro con la cultura europea e mondiale negli ultimi trent'anni. Noi abbiamo assorbito la cultura europea nei vent'anni dopo il fascismo fino a verso il '68, dopo di che, negli ultimi trent'anni, la situazione è diventata quella mondiale, c'è stata la globalizzazione anche della cultura. Però, c'è una linea di sviluppo dei concetti di soggettività da quella tradizionale che pone nella classe operaia l'avvenire anche etico del mondo, al fatto che adesso nessuno potrebbe dire che gli operai sono alternativi ai capitalisti.

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