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INTERVISTA A RENATO ROZZI - 12 MARZO 2001

Allora tutte queste tematiche assolutamente non esistevano; e quest'ultima, che viene fuori negli ultimi vent'anni del secolo, viene fuori dall'ecologia, dalle tremende situazioni generate dalle armi, oggi potenzialmente distruttive di tutta l'umanità, dal fatto che il consumismo e la iperproduzione ormai soffocano veramente ogni vera vita. E' col benessere che anche in Italia ci si rende conto che non sono solo gli americani che rovinano il clima mondiale deforestando il Brasile, bensì sono tutti coloro che lavorano ad avere una responsabilità nel porsi nel mondo e riguardo agli uomini, non solo nella natura come la intendono gli ecologisti ma anche nei riguardi degli uomini, come espressivi delle tendenze distruttive che sono in fondo all'animo umano e di cui il marxismo non ha mai parlato.


Tornando alle origini, Husserl con la "Critica delle scienze europee" rappresenta il tentativo di fare i conti con una scienza altra, almeno fondandola filosoficamente, il che però poi in realtà non arriva a sviluppi ulteriori.

Sì, la "Krisis" è un libro fondamentale, ma non riesce ad aprire tutto quello che ci si aspettava, però era l'unica posizione che si poneva criticamente, non in maniera banale di tipo moralistico nei confronti della scienza come possono fare una certa parte dei cattolici. Era la presa in esame proprio della matematizzazione del mondo come ignoranza del vero rapporto col mondo, questa era la posizione di Husserl. Perciò poneva in crisi non solo l'efficacia delle scienze, ma il loro contenuto di conoscenza, il modo di conoscere il mondo. E non era certamente come i cattolici che dicono che il mondo deve essere conosciuto come creato da Dio e pieno di anime: no, era proprio una critica, questo è sicuro. Io mi sto dedicando alla mia età allo studio dei limiti terribili di quello che noi abbiamo capito, anche se in quel momento lì noi avevamo capito già molto ed eravamo più aperti di altri. C'è stato anche un affermarsi personale e sociale, molti di quegli amici di allora si sono affermati in quegli anni. Io sono diventato professore universitario semplicemente perché ero aperto alle nuove situazioni più che per quello che sapevo. Poi il '68 travolge un po' tutto.


Un particolare: una delle cose fondamentali che viene fuori in Freud è la capacità, non voluta però agita, di mettere in crisi il discorso della razionalità soprattutto dal punto di vista illuministico.

Hai fatto la metà del discorso. Le sue scoperte lo portano a, con punti interrogativi enormi sull'uso che noi facciamo della ragione, se siamo così affettivi (detto molto banalmente). Però, lui era un illuminista, cioè l'impianto è duplice. Questo non solo perché lui ha iniziato come scienziato della natura ed è stato costretto dalle ipotesi che venivano fuori, dall'inspiegabilità materiale dei fatti psichici, a passare all'indagine dei fatti psichici; ma nel costruire la psicoanalisi viene accusato ancora oggi di essere stato un po' un positivista, perché cercava sempre la prova dei fatti, aveva una fiducia nella ragione che poteva, pur con voce debole, affrontare l'istintualità. E' un tipo di ragione, quella di Freud, non trionfante, che però c'è, altrimenti lui non costruisce niente, e invece quello che erige lo fa su un materiale esplosivo per l'idea di ragione, ma lo erige con la ragione. Lui dovette anche difendersi, perché ci sono tutti i problemi della sua scuola per gli attacchi, le accuse di essere un ciarlatano, di parlare di cose inverificabili, e allora lui poneva dei paletti. Leggendolo oggi si possono trovare tanto delle posizioni molto avanzate riguardo all'epistemologia, quanto molti momenti in cui lui, in parte credendoci, ma a volte costretto da politiche di difesa, dice "questo è scientifico, questo è vero in ogni caso ecc.". Dunque, anche lì si trova una fondazione ambivalente

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