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INTERVISTA A RENATO ROZZI - 12 MARZO 2001

Romano dice che un grosso lavoro teorico fatto in quegli anni è stato costruire un triangolo i cui vertici erano Freud, Marx e la fenomenologia, e sostiene che a partire dalla rielaborazione e da una rilettura delle questioni di questi tre vertici è venuto fuori quello che di nuovo era possibile fare.

Ha perfettamente ragione. Romano era una delle persone che, apparentemente non interessandosi di psicoanalisi, era però molto aperto: lui ha ragione a dire questo, è sempre stato molto interessato ai problemi come venivano impostati dai fenomenologi, di cui Guido Neri era considerato il filosofo, la testa filosofica, perché era un vero fenomenologo e, come ho detto, è quello che è andato a sperimentare la posizione nuova, non trotzkista, non internazionalista. Noi avevamo avuto gli esempi nel '46-'47: appena tornati dalla Francia in generale i pochi trotzkisti e internazionalisti erano minacciati dal Partito Comunista. Questa tuttavia era la vecchia storia dei resti dello stalinismo. Erano persone valorose, erano dei comunisti dogmatici, uguali agli altri che però, come Trotzki, avevano detto che Stalin era la fine del comunismo. La generazione che noi siamo andati a cercare era quella che all'inizio degli anni '60, con un po' di liberalizzazione, in Polonia e in Cecoslovacchia cominciava a venire fuori. Si trattava di nazioni che avevano avuto prima della guerra, cioè quindici anni prima, una cultura di tipo europeo, le formazione non era quella della Russia stalinista negli anni '30, era più libera. Allora in Polonia c'era Kolakowski e altri, Kosik e Patocka in Cecoslovacchia, e chi li ha scoperti e fatti tradurre è stato proprio Guido Neri. Dunque, Romano ha ragione a parlare anche da questo punto di vista di un'apertura. Patocka era un allievo di Husserl di altissimo livello, le sue opere in Francia sono pubblicate tutte, in Italia c'è qualche difficoltà; Kosik era il comunista di tipo nuovo che tendeva a produrre senza tante debolezze quella che poi è stata la primavera di Praga, un profondo rinnovamento del comunismo: naturalmente era guardato a vista dalla polizia, ha perso la cattedra ed è stato confinato in un'accademia dove prendeva lo stipendio di un operaio, però non poteva insegnare, poteva studiare e mettere in ordine dei libri, non l'avevano proprio reso disoccupato anche perché era stato un valoroso combattente contro il nazismo. Noi in quegli anni eravamo persone guardate male dal Partito Comunista perché prendevamo rapporto anche con queste situazioni nuove che però non erano più quelle in cui ci si accusava di essere trotzkisti: essere accusato di essere trotzkista in Cecoslovacchia prima voleva dire, come dimostra il libro di Conquest "Il grande terrore", le torture e spesso la morte, si sa come i trotzkisti venivano fatti fuori. Questi no, erano una generazione più giovane ed erano pari a noi, in un certo senso sentivano che si poteva essere più liberi nei riguardi del comunismo e perciò non essere come gli internazionalisti e i trotzkisti, è proprio un salto di generazione. Da questo vengono fuori Guido Neri, io, Romano Alquati, tutti noi, perché noi abbiamo visto come erano patetici i trotzkisti e gli internazionalisti, erano figure anche belle dal punto di vista etico e del comunismo, si erano opposti allo stalinismo con grande difficoltà, ripeto che là rischiavano la vita prima di tutti. Non ci servivano più, sostenevano ancora che la storia deve andare in una certa maniera per forza, che l'economia ci fa capire tutto dell'uomo, lo studio di Marx era pedissequo (senza conoscere per esempio i "Grundrisse"). Ci sono stati invece dei rinnovamenti nello studio di Marx da parte di questa generazione di cui parlo. E non solo da parte del bel tipo di Toni Negri, bel tipo da un punto di vista morale perché è un uomo intelligente, ma le sue fughe gli hanno tolto ogni validità etica e ogni capacità di essere un capo. Io l'ho conosciuto come un intellettuale dal carattere difficile (ecco che qui viene fuori la mia ipersensibilità psicologica, che non è soltanto moralistica). Comunque, se si osserva la derivazione da Banfi agli allievi a noi, si vede anche il rapporto con frange della sinistra che sono completamente diverse: prima di noi, la generazione dei nostri padri, dei nostri nonni, avevano a che fare con i trotzkisti, noi avevamo a che fare con della gente che ha tentato di "modernizzare" il comunismo nei paesi socialisti, che è stata sconfitta, che è insorta, che anche a Praga ha fatto molte cose belle, ma poi il sistema era tutto bacato ed è finito come è finito. Però, questo era molto interessante, perché voleva dire essere aperti a tutti gli influssi culturali (tra cui la psicoanalisi) e rappresentare già il nuovo che poi sbocca nel '68. Il '68 in tutto il mondo era pieno di differenze, i primi a ribellarsi sono gli studenti di Berkeley che è uno dei posti di più alto livello formativo del capitalismo, poi seguono Francia, Germania, Italia e via di seguito; se vediamo cosa succede in Cina (è importante leggere qualcosa sulla rivoluzione culturale) è terribile anche. In tutto il mondo la parte giovane, che supera anche noi, viene fuori nelle maniere più diverse, dagli anarchici ai situazionisti a quelli che se la vogliono godere ai dadaisti ai libertari ai riformisti ai cattolici di sinistra ai marxisti tradizionali ai filocinesi. Lotta Continua era uno dei gruppi più aperti, a Torino è stata importantissima. Però, qui l'elemento della soggettività viene già portato avanti in prima persona con quelle rivendicazioni anche psicologiche, nel rapporto con i docenti, nell'antiautoritarismo, le donne, la sessualità che deve essere vissuta prima di tutto perché altrimenti vince la repressione (Marcuse ecc.). Questo sicuramente sbocca in maniera tale che noi veniamo completamente superati, la fabbrica diventa meno importante, i Quaderni Rossi scompaiono ecc.

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