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INTERVISTA A RENATO ROZZI - 12 MARZO 2001

Rispetto a Nietzsche e ad Heidegger come vi siete confrontati?

Non so, perché qui andiamo su due figure talmente tragiche e grandi che è difficile rispondere. Io ero troppo giovane quando ho letto "La volontà di potenza" (nell'edizione sbagliata, a quanto pare), però sono rimasto folgorato, nel senso della distruzione dei valori, e questo ha agito anche come riflessione su di me come persona negli aspetti distruttivi della mia vita, e poi vedendolo enormemente nelle persona che io ho curato. Ciò ha agito molto nel farmi capire poi che la soggettività aveva in sé anche questo aspetto tragico del nichilismo, della mancanza di fondamenti, del non sapere dove stiamo andando e insieme del non poter rinunciare a questa libertà soggettiva che abbiamo conquistato. Questo è brevemente il discorso che riguarda Nietzsche. Per quanto riguarda Heidegger la situazione è molto più sottile, molto più complessa filosoficamente: io ho sempre avuto un qualcosa che, nonostante lo senta come un grande filosofo, mi fa ritenere che ci sia stato un colpo di scure a metà, rappresentato da quella adesione al nazismo, nel senso non soltanto etico ma in quanto lui non ha mai analizzato fino in fondo cosa vuol dire questa adesione da un punto di vista filosofico. Perciò non c'è soltanto un po' di schifo per questa cosa che permane di solito in persone come me formate al dogma dell'orrore per il nazismo, su questo la nostra generazione è stata giustamente dogmatica. Al di là di questo, c'è però il problema della grande resa filosofica che lui poteva avere dal capire questa situazione in cui era incorso, che hanno capito altri, come la Arendt o come molti suoi allievi o grandi filosofi attorno a lui che sono dovuti scappare. Lui non si è comportato benissimo per qualche anno anche nei riguardi dei colleghi ebrei, per esempio verso Husserl che era ebreo: non è stato un persecutore, lontana da me l'idea, però la solidarietà non c'è stata, non è stato dalla loro parte, certo non li ha denunciati, non ha fatto niente contro di loro ma non si è certo prodigato per loro. Però, al di là di questo, il problema di un uomo così intelligente è che questa esperienza enorme non è stata prodotta in una riflessione su quello che l'ha condotto a quel punto lì, a quell'errore lì. Credo che tu abbia nominato due figure terribili della filosofia e del nichilismo europeo fondamentali, Nietzsche e Heidegger. Posso dire che in una persona come me, per far capire come sono lontani i miei fondamenti, la lettura di Dostoevskij da giovane è stata fondamentale. Per noi sono stati importanti, per il fatto che non c'erano prima e che non ce ne avevano mai parlato a scuola, Dostoevskij, Thomas Mann, Proust, Faulkner, noi siamo stati i primi a leggere questi libri, è stato molto importante, anche questo andava nella direzione di "l'uomo è più complesso". Dal punto di vista della soggettività non hai un romanzo che ti dica cos'è un comunista. Il marxismo non riesce a capirlo, tutti questi grandi romanzieri sono dei rivoluzionari a loro modo, Proust è uno dei più rivoluzionari per l'uso della memoria, della lingua, del senso del tempo, è proprio un uomo che va a fondo alle cose, molto vicino a Freud senza saperlo. Dostoevskij poi è di un'altezza unica dal punto di vista della profondità e del dramma che avviene già allora in Russia. Abbiamo avuto la fortuna di aver assorbito questa cultura fin dal '46-'47, già allora avevamo cominciato queste letture. Noi per esempio eravamo persone che leggevano Celine: antisemita, collaborazionista, filonazista ecc., lo ritenevamo uno grandissimo che andava a fondo nell'animo umano in maniera tale per cui ti metteva involontariamente in guardia su quelle cose lì. Questo per citare un aspetto che allora era completamente riprovato da un punto di vista etico e della critica letteraria, questo voleva dire avere coraggio. E direi che la letteratura ci ha dato molto coraggio: per me che sono molto musicista, e anche Romano è molto sensibile alla musica anche se è più sulle arti visive, la musica è stata un'altra cosa importantissima dal punto di vista della rottura degli schemi. Io sono stato educato all'armonia tradizionale, quando sono andato a vedere "Fantasia" di Walt Disney e ho sentito per la prima volta la "Sagra della primavera" sono entrato in angoscia, poi per me Stravinski è diventato talmente comprensibile come è comprensibile Webern, ma è stata una rottura terribile del mondo precedente. Direi che forse è la più profonda delle rotture che io ho subito perché è quella che concerne di più le mie budella. Io capisco nella musica tante cose che non possono essere espresse che con la musica. E' come passare dal quadretto del paesaggio a fare uno dei quadri che fa Romano. Nel '48 corsi a vedere a Venezia la Biennale, senza neanche i soldi per mangiare e dormire, per andare a vedere gli impressionisti e qualcuno degli informali. Questo voleva dire scoprire tutto ma già porre delle basi per una situazione che ci portava completamente fuori da un certo tipo di cultura. Negli anni '60 poi eravamo pronti anche ad avere delle grandi aperture e poi a essere scavalcati dalle cose che non sono più in mano nostra.

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