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INTERVISTA A RENATO ROZZI - 12 MARZO 2001

Cosa ci dici di Danilo Montaldi?

Sono stato amico di Montaldi, mi sono anche scontrato perché sono diventato una persona che aveva queste domande da fare ai marxisti e lui era molto duro. Quando eravamo giovani siamo stati molto amici, ed è stato un po' il padre di Alquati. E' un'altra storia, non so neanch'io cosa dire. Indubbiamente è uno di quelli che quando la società italiana, al di là della propria utopia liberatoria marxista, esplode nel '68, è stato messo in un angolo, infatti non appare più. Montaldi era una persona alla fine degli anni '50 e all'inizio dei '60 avanzatissima, come erano avanzati quelli dei Quaderni Rossi, poi esplode tutto, la nuova società rivela situazioni completamente diverse e la presa anche utopica e politica sulla soggettività intesa in un modo vecchio non ha più efficacia.


Una buona parte delle ricerche di Montaldi sono proprio sulla dimensione della soggettività.

Certo, però era una soggettività poetica e deviante, quella dei sottoproletari, degli uomini della leggera: era bellissimo e avanzato proprio il fatto che nei riguardi del Partito Comunista c'era tutta una fascia di proletariato che produceva i propri miti in una maniera anche avversa all'irrigimentazione comunista, in maniera più spontanea, e questo già era un preludio inconsapevole a quello che scoppierà nel '68. Nel '68 c'è l'esplosione in una società più libera di tante soggettività provvisoriamente accomunate dall'essere quelle dei giovani e di una parte della classe operaia, ma che vanno in direzioni che non sono più quelle in cui il comunismo indirizza il mondo. Il '68 in Italia è la fine del comunismo. E Montaldi l'aveva preventivato attraverso l'analisi di strati che erano liberi dalla costrizione comunista, era prima di tutto questo. Io l'avevo aiutato all'inizio delle "Autobiografie della leggera": andavamo a cercare la gente che ragionava con la propria testa, era ai margini della società ma era una marginalità che aveva un significato politico e naturalmente profondamente poetico in senso alto. Sono come grandi romanzi quelle biografie. Anche nel secondo libro, "Militanti politici di base", è andato a cercare nei militanti gente che tendeva ad essere libera, ma se intendeva essere libera pur essendo combattente per il comunismo tendeva a essere indisciplinata o a essere imprevedibile, a non essere più quella che portava avanti un'idea collettiva sicura e dominata da un partito che la rendeva vincente. Anche lui inevitabilmente ha mosso qualcosa come tutti coloro che si sono interessati della soggettività, e questo è anche un senso critico che ho nei riguardi miei, ha mosso qualcosa che ha rivelato che la soggettività umana è imprendibile. Il proletariato di Montaldi va incontro a gravi problemi e porta in sé non soltanto l'elemento mitico, liberatorio che gli avevamo attribuito, ma anche delle tendenze alla distruttività e alla morte (che è poi in fondo l'ultimo Freud, quello che diceva che la coppia polare istintiva è libido e istinto di morte).









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