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(pag. 1)

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(pag. 7)

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(pag. 8)
INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 6 GIUGNO 2000


Quindi, cerchiamo di fare bene il sito di Aut Aut, in questo momento non c'è, l'avevamo fatto, poi lo abbiamo smontato, adesso lo rifaremo: quello è il futuro. Invece io penso che il futuro sarà da un'altra parte: penso che la vera rifondazione della rivista potrebbe essere quella di farla in casa. Le persone che fanno la rivista sono tutte fuori dalle istituzioni, il che in qualche modo ne mantiene il carattere vecchio. Dopo di che queste qui sono delle ubbie, nel senso che in questo momento la rivista non ha un pubblico: non si sa chi è il pubblico di Aut Aut, e bisognerebbe riuscire a capire quale potrà essere. Questo è un discorso per il futuro che ha anche a che fare con il passato.
Le riviste iniziano, finiscono, specialmente queste qui. Aut Aut non è una rivista di movimento, non lo è mai stata: è stata una curiosa rivista che ha poi avuto degli intrecci con il luogo del movimento. Ma ha avuto degli intrecci per via del fatto che la natura di Aut Aut è sempre stata quella di non chiudersi dentro il dibattito accademico: questo è il punto veramente qualificante della rivista. Le stesse persone che oggi fanno Aut Aut, magari con il fiato un po' più corto, con la fatica di farla (è molto affaticante, c'è un affaticamento che viene dagli anni trascorsi), comunque non derogano su un punto, che è quello di fare la rivista tanto per farla, in modo che ci sia una buona immagine esterna, venga un po' venduta e noi riceviamo magari qualche recensione o, metaforicamente, applauso: la cosa a cui non si viene meno è che se la rivista deve stare in piedi è che si deve riuscire a dire qualcosa. Quindi, non è mai venuta meno questa utopia di costruire pezzi di coscienza critica. Abbiamo fatto un numero sull'università e la riforma, e lo abbiamo fatto con questo tipo di atteggiamento, e via di questo passo; quel poco che siamo riusciti a dire sulla questione della guerra, in quel numero che è appena trascorso, lo abbiamo fatto con quell'intento lì. Certo, non è mica facile oggi. Ieri potevi lavorare con questa sorta di carattere rizomatico (come direbbe Deleuze) perché avevi davvero un territorio di radici che uscivano e che entravano; oggi non hai alle spalle nulla, quindi hai continuamente la sensazione del vuoto. Allora, la sirena (nel senso di personaggio mitico, ma forse anche quella non mitica, che si chiama così per quello nelle fabbriche, non ci avevo mai pensato ma è divertente) che attira è quella che ti dà una definizione: come ti chiami, chi sei e stop. Fai un lavoro di storia della filosofia? Benissimo. Quante spinte abbiamo avuto noi perché diventassimo una rivista più filosofica, e quante controspinte poi ci sono state dicendo no. Ferraris, personaggio autorevole della rivista in questo momento, credo che la legga con un atteggiamento di schifo, perché lui vorrebbe invece una rivista che fa ricerca scientifica, filosofica su temi importanti, come ha fatto diventare la Rivista di Estetica, in cui ci sono studi sulla percezione, sul realismo della percezione: Ferraris pensa che questo bisogna fare oggi, cioè bisogna fare lavoro scientifico serio sui temi che piacciono a lui. Al confronto Aut Aut fa arte varia. Come dire: è finito il tempo in cui c'è la rivista che parla di cinema, e magari nel contempo una volta poi parla anche di psicoanalisi, e poi parla di quell'altro e di quell'altro ancora. No, è quella l'altra strada, che è legittima ma che secondo me sarebbe un errore assumere.


La coloritura operaistica di cui lei parlava come era vista allora? Come una delimitazione?

Era vista come una delimitazione, però alcuni ci credevano. Personaggi come la Roberta Tomassini, la Meriggi, altri di cui mi sfugge il nome che erano milanesi, erano tra quelli che ci credevano, come dire "facciamola questa cosa"; c'erano quelli come me che facevano gli ecumenici, che dicevano sì fino a un certo punto, e quelli che invece dicevano no. Ma neppure Fortini diceva sì, nel tempo in cui c'era. Poi c'erano quelli, come Dal Lago che era appena arrivato in quegli anni, che dicevano "sì, però bisogna uscire, mettere le mani su cose nuove, vedere il tema dell'inclusione e dell'esclusione", cominciava allora questa questione che oggi è diventata la questione teorica principale, dentro e fuori. Tra l'altro, ho saputo che è uscito un libro di Agamben su questi temi qua.

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