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(pag. 1)

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(pag. 7)

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(pag. 8)
INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 6 GIUGNO 2000


Come risposta io darei questa, in cui mi rendo conto che non ho fatto l'elenco di cose specifiche, ma ho dato un clima. D'altra parte io non penso che si possa dare altro che un clima, perché non abbiamo tenuto verbali di quelle riunioni, perché non c'era la voglia dell'archivio come c'è oggi, la voglia dell'autorappresentazione: probabilmente si è perso anche tantissimo, ma poi di queste cose se ne parlava un po' dovunque, perfino ai festival dell'Unità. Mi ricordo che questa questione dei bisogni fu al centro di un dibattito qui a Milano molto acceso in cui c'era il direttore di Città Futura, che adesso è diventato un liberal spaventoso, fu un personaggio importante della FGCI ed era molto aperto: c'era un'ala della FGCI, di giovani comunisti istituzionali, che era molto attenta. Aut Aut era preso in considerazione seriamente anche dal Partito Comunista e dalle sue emanazioni culturali: Spinella, per intenderci, personaggio che poi ritroveremo in Alfabeta, certamente era un lettore molto attento di Aut Aut. Dunque, c'erano molti legami, per cui questa rivista era decisamente trasversale. Se vogliamo dire era trasversale perché non era niente di preciso, e questo potrebbe essere il limite, cioè uno potrebbe dire "per forza, bravi furbi, non avete mai dichiarato dove stavate": ma noi non volevamo, non potevamo neanche, perché eravamo molto diversi tra di noi, il gruppo era veramente diversificato. Questa diversificazione poi certamente ha avuto qualche tipo di marcatura, come appunto questa coloritura operaistica, ma se poi andiamo a vedere bene, non è che corrisponda: se andiamo a leggere cosa ha fatto una rivista di questo genere, non è che si trovi poi la traduzione di questa faccenda. C'è stata questa coloritura operaistica, c'è stata anche un'identificazione: però l'identificazione non era l'identità della rivista (proprio allora pubblicammo un saggio su identità e identificazione, dicendo che sono due cose completamente diverse). Noi siamo stati targati in quel modo lì, il target della rivista è poi diventato quello, ma la sua identità era molto più mobile, molto più variegata, molto più stratificata e molto più legata alle imprese che di volta in volta si riuscivano a fare, certamente non sempre, a volte poi i fascicoli erano non dico di routine ma abbastanza inerziali, perché non è che si possano fare sei fascicoli all'anno di un determinato tipo, io sono trent'anni che faccio questa rivista ed è una roba micidiale. Certo, a vedere con gli occhi di oggi quella situazione lì, penso a dove oggi siamo finiti, il nostro editore è la RCS, la rivista viene pubblicizzata sul Corriere della Sera: finirà questa cosa perché non può continuare così, ma ci siamo finiti casualmente, in quanto La Nuova Italia l'hanno comprata. Il carattere di sinistra socialista, pseudo-anarchizzante de La Nuova Italia, fin dalla sua storia iniziale, ci andava benissimo; il carattere manageriale e da deficiente che hanno questi qua della RCS non ci va più bene, quindi adesso vedremo cosa fare. Non è facile, perché volevamo orientarci verso la Feltrinelli, ma vengo a sapere che questa addirittura lancia messaggi di chiusura, cosa che mi ha sorpreso terribilmente, pare che non vogliano più fare la saggistica. In realtà, tutto sommato, siamo nell'epoca di Internet, e va bene, in cui non puoi non passare attraverso i media, e va bene, quindi noi dovremmo essere contenti di essere in questa megastruttura che ci permette di fare quello che vogliamo, perché non ci danno input sui contenuti: eppure io sono completamente insoddisfatto e quasi quasi mi verrebbe da pensare che sta tornando l'epoca in cui è meglio far da soli, ma so che questa è una follia, lanciata così, come messaggio, ma le mie attuali considerazioni portano lì. Noi probabilmente il prossimo anno faremo una festa di qualche tipo per i cinquant'anni di Aut Aut, che sono tanti: produrremo una sorta di numero speciale, in cui ci saranno una serie di riflessioni, anche un indice completo della rivista, poi forse daremo luogo a un incontro pubblico, chiameremo delle persone per bene che dicano quanto è bella la rivista. Questo perché l'Europa della cultura e delle conoscenze potrebbe essere il luogo a cui Aut Aut dovrebbe adeguarsi, questa è la linea: una rivista di servizio di questo genere non può chiamarsene fuori in un terreno da samisdat, come si diceva un tempo: può diventare uno strumento di diffusione culturale. Stiamo cercando di fare un fascicolo sulle retoriche dell'Europa: quanto di più divertente ci potrebbe essere del fatto che l'Europa finanziasse questo fascicolo in cui noi parliamo male dell'Europa? E' divertentissimo, e sarebbe nella logica delle cose. L'Europa delle intelligenze, una specie di grande intelletto, magari filosofico.

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