>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Il dibattito interno ad Aut Aut
(pag. 1)

> La "coloritura" operaistica
(pag. 7)

> I modelli formativi oggi e la figura dello studente
(pag. 8)
INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 6 GIUGNO 2000


La storia successiva di Aut Aut, dagli anni '80 in poi, è quella di una rivista che si pone come uno strumento di servizio per una cosiddetta coscienza più o meno microfisica, alla Foucault, che non è aggregata in nessuna idea di movimento; questo comporta anche il declino di Aut Aut, perché negli anni '70 aveva molto più successo, funzionava molto di più. Adesso è una rivista che non va male, ma ora la rivista che ha successo è MicroMega, ma per tutti altri motivi, perché oggi per avere successo devi passare attraverso a una gran cassa dei media; allora non ce n'era bisogna, allora c'era veramente il messaggio nella bottiglia, perché le bottiglie poi venivano raccolte dal cosiddetto movimento, mentre, secondo me, oggi pochi le lanciano e nessuno le raccoglie più, col che è diventato molto più difficile fare la rivista. Torniamo all'episodio di Di Paola: arrivato lì, ad un certo punto, forte delle sue letture di Baudrillard, ci presenta un saggio intitolato "Contro la dialettica". Questo crea un casino infernale, perché in definitiva c'era una sorta di miscuglio in Aut Aut: la voglia di cambiamento e di arricchimento delle nozioni e della categorie, ma anche la resistenza su certi fronti. Questa cosa della dialettica fa scoppiare una serie di opposizioni e di conflitti: io decido che, anche se ci sono questi casini, l'articolo deve uscire lo stesso, e alcuni se ne vanno. Avviene una scissione all'interno, in cui i più arroccati su posizioni tradizionali dicono, per tradurlo in uno slogan, "la dialettica no, toglietemi tutto ma non la mia dialettica". Devo dire che poi, alla luce dei fatti, questi qui che difendevano la dialettica avevano torto, perché invece occorreva sperimentare. Furio Di Paola oggi è diventato uno che si occupa di neuroscienza, è recentemente uscito un libro per il Manifesto, è tornato vicino ad Aut Aut, ha pubblicato due o tre cose (perché poi ci sono questi ritorni).
Adesso noi ci siamo un pochino più attrezzati ad intervenire sul discorso della psichiatria, ma allora non mi pare che ci fosse stato mai un fascicolo su questi temi; però, se noi fissiamo chi è Basaglia e il carattere anti-istituzionale del suo movimento, abbiamo abbastanza l'idea di cosa potesse essere Aut Aut in quel momento. Non è un caso che Basaglia si fosse formato attraverso apporti di tipo fenomenologico, da Husserl a Sartre; se non ha scritto su Aut Aut è stato semplicemente perché non scriveva o faceva dell'altro, ma le storie, con il senno di poi, sono molto parallele. Poi non è un caso che quando io inizio ad andare a Trieste, negli anni '70, venga avvicinato da questo gruppo di Basaglia. Tutti leggevano Aut Aut, questo era il punto: per questa capacità di non ripetere delle formule, se ci riusciva, di aprirsi moderatamente, o non moderatamente, anche in modo smodato, a varie ipotesi. L'atteggiamento nostro non era mai quello di dire no, ma dire: "'AntiEdipo'? benissimo, vediamo di cosa si tratta"; poi dopo Lacan, Fortini che odiava i lacaniani, invece poi è stato importante. Ecco, c'è stata questa curiosità verso quella che oggi ci risulta la ricchezza incredibile del lavoro teorico negli anni '70, anche filosofico, di cui ancora oggi ci nutriamo, perché io che poi faccio anche un lavoro di consulente editoriale vedo che oggi non è che giri tanto, e alla fine quello che si fa è di andare a riscoprire il testo importante di Lévinas piuttosto che qualcos'altro del genere: insomma, non abbiamo ancora finito di scoprire. Questa è la cosa che io vorrei dire proprio a chiare lettere: l'opinione dominante è abituata a considerare quello un decennio da scansare perché ha prodotto gli anni di piombo, perché ha prodotto un'accelerazione e un'estremizzazione della politica verso la lotta armata: dunque, dimenticare gli anni '70. Bene, però se noi dimentichiamo gli anni '70 dimentichiamo cosa è stato quel periodo. Io credo che ci fosse una specie di gioco di sintonia tra l'enorme curiosità a livello di un numero molto grande di giovani più o meno intellettualizzati, più o meno politicizzati, verso un qualche cosa che fosse un dato di pensiero, un da pensare, e l'elaborazione di questo pensiero che avveniva davvero, magari non sempre in congiunzione stretta, presso i grandi maître francesi, per esempio, ma non solo loro. Gli anni '70 sono stati un momento di una felicità teorica incredibile, è stato un laboratorio di idee. Prendiamo il caso di Deleuze: non abbiamo ancora finito di scoprirlo, è un autore che adesso si ricomincia a leggere, poi ora l'abbiamo tradotto ancora un po' di più, io all'università vedo che c'è una grande voglia di fare delle tesi su Deleuze, è un autore difficile, che sfugge un po' di mano. Domanda: sarebbe mai esistito Deleuze senza tutto quello che stiamo dicendo, e viceversa? No, io non credo: se c'è Deleuze è perché c'è una spinta al lavoro critico del pensiero sulla realtà, per produrre luoghi in cui pensando in un modo diverso riusciamo ad essere anche più liberi.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.