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> Il dibattito interno ad Aut Aut
(pag. 1)

> La "coloritura" operaistica
(pag. 7)

> I modelli formativi oggi e la figura dello studente
(pag. 8)
INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 6 GIUGNO 2000


In sostanza, Aut Aut è lì, in questa strana realtà di una rivista di filosofia che si impegna e che è presente, più o meno volendolo, nelle pratiche di movimento, e le parti organizzate del movimento come si chiamava allora extraparlamentare, si avvicinano anche a tratti alla rivista. Dico il Manifesto, perché quando la Rossanda, nella fase appena precedente la fondazione del quotidiano, quando c'era Il Manifesto mensile (nel formato che adesso credo sia stato ripreso), propone un dibattito che passa anche attraverso Sartre, in cui si contrappone l'idea di collettività vivente a quella di strutturazione istituzionale (dove c'è anche di mezzo, se si vuole, Rosa Luxemburg, si può andare da tutte le parti), quando si ridiscute la tematica classe-partito in questi termini di movimento, è chiaro che chi aveva parlato di Sartre nelle riviste importanti italiane? Noi. Si creano questi collegamenti che non sono forti, ma le posizioni politiche passano anche attraverso un luogo di elaborazione filosofica più o meno in fusione, come direbbe Sartre (infatti neanche in Aut Aut c'era una strutturazione, come dicevo prima c'era questa sorta di micro-assemblearismo), e hanno delle congiunzioni, per cui ce le abbiamo con il Manifesto, con Lotta Continua, oltre che quelle con l'operaismo in senso più o meno stretto. Ma ogni volta che queste congiunzioni diventano strette c'è anche una lacerazione. L'episodio di Negri che raccontavo la scorsa volta è stato quello di lacerazione: come ne siamo usciti? Prendendo le distanze. Dopo di che avvenivano anche degli episodi interni.
Oggi questa cosa non sarebbe più possibile, è tutto cambiato: guardando le realtà culturali, perfino i quotidiani hanno una funzione di sismografo rispetto a quello che accade, al dibattito importante ecc., tutti sono alla ricerca, in forme più o meno serie, dello scoop teorico. Allora la questione era di uscire da una compattezza di tradizione di pensiero, che poi come sempre si traduceva in formule, immettendo in questo corpo compatto delle estraneità. Certamente il fatto di dire che Marx era un teorico dei bisogni era un'estraneità, perché la Heller era trattata, per esempio da Quaderni Piacentini, come idealista. Perché idealista? Perché questa diceva nel suo libro che non è tanto importante la questione economica, quanto è importante una questione ancora più radicale, che è quella dei bisogni radicali del soggetto, e fino a quando le due questioni si mettono nell'ordine opposto non ne usciamo fuori: faceva vedere queste cose, secondo lei, in Marx, perfino nei famosi "Grundrisse", che erano il testo magico (testo importante, ma anche magico, perché poi andandolo a leggere è difficile cavarne tutte queste bandiere, o bandierine, che ci si attaccavano sopra). Mi viene in mente un dibattito interno che fu abbastanza doloroso e lacerante per la rivista, perché portò all'uscita di alcuni e all'arrabbiatura secca di altri, compreso Fortini: l'episodio girò intorno ad un testo di Furio Di Paola. Questi era un personaggio che si era aggregato alla rivista venendo da Napoli, e venendo da un'esperienza in parte situazionistica e in parte attraverso una tangenza con Lotta Continua: ciò per dire che veramente l'aggregazione era polimorfa. Questo Di Paola arrivò e aveva scoperto Baudrillard, come poi fece di lì a poco Formenti, che non c'era ancora: anche lui si avvicinò ad Aut Aut per via di questa sorta di alone operaistico, ma non ci fece nella rivista dei lavori di tipo operaistico, ma di tipo eccedente. Della vecchia guardia c'era anche Gambazzi, che per altro era anche lui su una posizione diversa, nel senso che quando Rosso fu preso in mano dagli operaisti lui si sentì tradito perché, insieme a Màdera ed altri, aveva fatto un altro tipo di giornale. Insomma, c'è un intreccio che è la storia difficilissima da descrivere di quel periodo, di cui bisognerebbe fare delle biografie, andare a prendere tutti questi personaggi, fare l'elenco e fare una specie di dizionario, ma sono molti di più di quelli che crediamo che siano: viene fuori un tessuto (che poi è forse esattamente quello che volete fare voi) molto articolato, molto difficile da snodare. Aut Aut è in realtà una specie di luogo in cui questa tessitura (diciamo così, per andare avanti con la metafora) avviene forse più facilmente che altrove perché non c'è nessun tipo di contenitore, noi eravamo attenti a qualsiasi movimento di sinistra. Dunque, non c'era nessuna preclusione, voglio dire che era per la sinistra movimentista una posizione di servizio, di luogo in cui potevano accadere dei dibattiti, in cui quello che si diceva poteva essere utile per smontare alcuni pregiudizi, per rompere certe durezze, per aprire gli occhi di fronte magari ad uno sguardo troppo stretto. Quello che accadrà dopo rimarrà ancora quello, solo che non ci sarà più il movimento.

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