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INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 6 GIUGNO 2000


Per esempio, io ho visto che il tema dell'alterità e tutto quello che ci sta attorno è un modo per arrivarci, perché poi ti mette subito a contatto con le tue questioni dell'alterità. Bisogna trovare degli altri linguaggi: in parte ci sono già, però bisogna aggregarli, e certamente io penso che gli studenti li vanno a cercare da qualche parte, li mettono insieme i pezzettini, quelli che hanno voglia di cercarli. Quelli che invece si fanno trascinare… davvero qualcuno si fa solo trascinare? Anche questo io non lo so. Oggi abbiamo bisogno di un'inchiesta sulla faccenda, è questo che io penso: ma di un'inchiesta fatta bene, non semplicemente far passare questionari nelle lezioni che dicono "hai apprezzato la lezione? cosa ne pensi ecc.", cose che stanno facendo. Abbiamo bisogno di un'inchiesta a fondo su questa faccenda dei bisogni, come vengono considerati e valutati, quindi anche ideologizzati (se vogliamo dire così) i bisogni che non siano soltanto quelli di formazione della forza-lavoro specifica per, perché questo tra l'altro è un trucco. La riforma dice che dopo i tre anni chi ha fatto questo primo livello universitario di Filosofia, deve sapere stare in gruppo (sono molto divertenti queste cose!) e deve essere in grado di essere assunto in una casa editrice: viene detto così, è follia, come se le case editrici fossero un riferimento nel mondo del lavoro. Allora si capisce che questo non c'entra assolutamente niente con quello che viene detto prima, sul carattere propedeutico, un pezzo qua e un pezzo là, un po' di storia della filosofia, un po' di letteratura italiana, un po' di storia, con tutto l'apparato degli elementi formativi di base, degli elementi invece essenziali per la specifica classe di studi che stai facendo e degli elementi opzionali. Insomma, c'è tutta una ridistribuzione di nomi, poi alla fine si parla di stare con gli altri e avere qualche possibilità. Allora diciamolo chiaramente, perché non parliamo di questo? Cosa fa un redattore o un traduttore di una casa editrice? Cosa si fa nelle case editrici? Ma a questo punto teniamone conto: certo, è difficile chiamare filosofia tutto ciò, è la stramberia totale. Lo studente non crede neppure a questa roba qua, a parte che non conosce questo dettato della legge, non gliene frega niente, non gliene fregherà neanche niente neppure quando sarà operante; poi, anche quando lo leggerà, dirà che sono cavolate, e quello che andrà a cercare sarà qualcosa che ha a che fare con il suo mondo di esperienza complessiva, è lì che troverà qualcosa. Se troverà qualcosa da fare nell'ordine del lavoro, lo troverà attraverso dei canali che non sono quelli dell'università. Stiamo sempre parlando di laureati in Filosofia e dintorni, ma questo vale per gli studenti di Psicologia, di Scienze della Comunicazione... Si apre la televisione ed è piena di quiz, domande, come si diventa miliardari ecc.: "lei chi è?" "sono uno studente" "studente di che cosa?" "di Scienze della Comunicazione". E' impressionante: o la televisione li pesca solo lì (può darsi, perché Scienze della Comunicazione...), o comunque, se c'è un po' di casualità (come io penso), l'Italia si sta riempendo di studenti di Scienze della Comunicazione, che chissà cosa stanno pensando. Allora, l'inchiesta andrebbe fatta lì: queste migliaia di persone che nelle varie sedi in cui ci sono questi corsi di laurea si affannano a fare Scienze della Comunicazione, cos'è che stanno facendo? Chi sono? Cosa stanno producendo?

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