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INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 11 MARZO 2000


Non ci si aspettava questo impatto nel momento in cui è uscito questo testo di Negri su Aut Aut?


No, non ci si aspettava un impatto così grande e che duri fino ad oggi: c'è gente che se lo ricorda ancora adesso. Io ho avuto molte difficoltà ad entrare in università per questo motivo qua. Dal momento che a Milano ero precario, io dovevo cercare di andare da qualche parte: finito il precariato, o cambiavo mestiere oppure, facendo dei casi precisi, sono dovuto stare in anticamera a Torino, a Venezia, a Scienze Politiche di Milano, perfino a Trieste (dove poi mi presero, ma per anni fui un sorvegliato speciale). Tutte queste situazioni erano legate a questa sorta di gemellaggio con Negri che passava attraverso la visibilità che la rivista aveva dato. Che io fossi suo amico era vero, perché poi ci incontrammo in certi progetti mai fatti legati alla Fondazione Feltrinelli, ma queste cose non erano risapute. Forse un altro aspetto della visibilità erano anche gli Opuscoli Marxisti. Ma, comunque, l'elemento più eclatante fu legato a questo episodio, al fatto che noi avevamo scritto sui bisogni e che Negri ci aveva decodificati politicamente; al che noi avevamo riposto che queste robe se le stava sognando, o, almeno, che in parte se le stava sognando, comunque in parte andavano in tutt'altra direzione: però le risposte non se le ricorda nessuno, mentre il pezzettino di Negri se lo ricordavano in tanti. Quindi, doppio effetto negativo sul doppio esterno. Ad esempio, per il fatto che in seguito io personalmente ho avuto molta fatica a stare nell'università e ovunque poi sono stato uno sospettato; magari si diceva: "Ma questo è moderato, ragionevole, si può parlare con lui, ma forse fa finta e prima o dopo spaccherà qualcosa". Perché a Padova Negri e i suoi si erano creati un clima insostenibile, proprio dentro all'università intendo: erano considerati un nucleo di ferro che aveva preso in mano l'Istituto di Scienze Politiche, e lì erano loro che comandavano.
Forse Negri ci credeva a quello che aveva scritto rispetto ad Aut Aut, grazie anche alla Tomassini. Quando prese atto della questione del pensiero debole mi mandò da Rebibbia una cartolina in cui, un po' ironicamente, diceva che avevamo tradito la causa. Noi? Non c'erano dubbi che si andava da una parte all'altra, non c'era un manipolo di militanti di Aut Aut. Mentre, in realtà, con il pensiero debole io continuavo tutta un'altra storia, che era proprio quella, in sostanza, del lasciamo stare il calarsi il passamontagna (frase di "Dominio e sabotaggio"): insomma, non calarsi il passamontagna nella filosofia. Il rischio era, come succede nelle teorie dei buchi neri, di entrare da una parte e trovarsi di colpo dall'altra, nell'opposto di dove si pensava di essere. La mia idea è che sia necessario premunirsi, difendersi, fare esercizi di indebolimento del potere che continuamente ha la teoria, che continuamente prende questo effetto di verità, che accelera le questioni, le semplifica, le riduce quando invece sono complesse: se non si sta attenti a questo ci si ritrova dall'altra parte; ci si poteva ritrovare amico di Craxi, del decisionismo, oppure ci si potrebbe ritrovare oggi chissà dove. Attualmente lo scenario politico ufficiale è un po' strano. Oggi a destra non si pensa, non è mica vero che la destra sa fare cultura: allora tutti hanno pensato che sarebbe stato bello, tutti i vari Cacciari che spingevano sul fatto che in fondo una cultura di destra venisse fuori. Mi sembra che sia una cultura d'accatto sul mercato: l'idea di mercato spappolata, con degli agganci alla realtà, ma non è che ci sia molto altro.
Forse tutto questo poi aveva a che fare anche con il mai abiurato cattolicesimo di una certa parte della sinistra, ivi compreso Toni Negri, sul quale questo discorso dell'indebolimento andava a colpire una zona molto delicata. Si veda anche a certi accenni di guerra che ci sono stati recentemente, per esempio rispetto a Vattimo o alla mia micro-uscita sull'enciclica: queste cose hanno prodotto l'immediato intervento nel caso di Vattimo delle gerarchie, che evidentemente non vogliono saperne, nel caso mio di Viano, che sul Corriere ha scritto "questo qui è matto, che cosa vuole?, è farneticante, un amico del Papa, dogmatico". Tutto questo solo perché mi ero permesso un po' di ironia: forse non si capiva che quel pezzo era ironico, ma resta il fatto che bisogna saper leggere.

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