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INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 11 MARZO 2000


Il primo libro che io ho scritto si chiama "Che cosa ha veramente detto Sartre", edizioni Ubaldini, Roma, parlando della mia biografia intellettuale. Poi c'è veramente Marx, non c'è dubbio. Io ho scritto un libro su Marx: bello, brutto, interessante, utile che sia stato, era un libro di lotta, nel senso che con esso io volevo lottare contro un modo d'essere del marxismo che allora si identificava con un personaggio che si chiamava Althusser. In sostanza, era un libro contro Althusser, che tra l'altro io conoscevo bene e di cui si parlava parecchio, perché allora (siamo già all'inizio degli anni '70) "Per Marx" e "Leggere Il capitale" erano due libri che andavano molto. Poi, certamente, potrei dire che sia Nietzsche sia Heidegger hanno successivamente inciso parecchio nella mia formazione. Erano autori che, in qualche modo, non mi erano stati fatti leggere prima: Nietzsche sembrava che non valesse la pena di leggerlo; quanto ad Heidegger, c'era una sorta anche di interdetto da parte di Paci, il quale mi comunicava che si trattava di un nichilista e lì finiva tutto. Invece non è così, anche perché Heidegger può essere un rompiscatole infinito ed è meglio non leggerlo dalla mattina alla sera, però io ho cambiato idea sulla questione. In questo senso mi è servito anche incontrare Vattimo, avere quel poco di colloquio che ho avuto con lui, dal quale però è nata un'amicizia che è rimasta tutt'oggi, anche se non ci vediamo quasi mai; proprio nei dintorni del "Pensiero debole", quindi siamo all'inizio degli anni '80, mi porta ad insistere sulla lettura di questi autori. Sicuramente un autore che ha determinato la mia apertura di vista e di orecchie è Foucault, non c'è il minimo dubbio su questo. Qui allora torniamo alla questione del potere, della sorveglianza, del micropotere: Foucault mi è servito moltissimo per stare al mondo da un certo punto in poi. C'è stato un periodo in cui tutti se ne sono serviti. Per me è stato molto più importante Foucault che non Deleuze o altri autori che pure ho letto e mi piacciono moltissimo. In questo elenco non potrei non mettere Lacan: questo però è il punto complicato da far giocare e da collegare direttamente con i vostri interessi, perché ci si può chiedere cosa c'entri Lacan. Tutta questa cosa ne ha alle spalle un'altra, che è "cosa ne facciamo della questione del soggetto?". Sulla questione del soggetto Foucault non ti dice nulla, oppure ti dice qualcosa al rovescio, anche se interessante, mentre Lacan, secondo me, è quello che ha smontato e smosso di più i macigni che bloccano l'entrata di tale questione, facendone poi diventare una specie di parola vuota: il soggetto di che? Allora c'è un centro forte, potente, allora ciascuno è centrale: a questo punto a maggior ragione poi si può riprodurre la questione legata a chi è soggetto al quadrato, cioè l'intellettuale. Insomma, si incontrano certi luoghi comuni del leninismo. Vado alla svelta, adesso non vorrei fare corto circuiti assurdi. Tutto sommato la domanda che mi avete rivolto, il rapporto tra intellettuali e movimento, ha di mezzo una certa idea di soggettività: se ne hai una vai verso una risposta a questa domanda, se ne hai un'altra o metti in discussione la prima o vai verso un'altra risposta. Naturalmente qui bisogna fare molti giri quando, ad un certo punto, c'è un editoriale di Aut Aut molto significativo e dice che qua bisogna fare un giro un po' più lungo. C'è, intorno agli anni '70, un editoriale in cui ci si chiede che cosa farne di questa rivista che si è esposta, o, meglio, è stata ritenuta esposta, e che quindi in qualche modo non può più andare avanti per quella strada, per quanto non fosse poi davvero quella di Aut Aut. Ci sono cioè stati tutta una serie di fraintendimenti che si sono creati, ma sempre si creano sulle cose, a partire dalla nostra eredità: la gente pensa che tu sei uno e tu hai un bel da fare per dire in giro che poi sei un altro. Di tutto questo discorso ho un esempio filosofico in mente, riferito a Sartre e ad un altro libro che non si legge, "Santo Jenè commediante e martire", in cui si racconta la storia di Jené, autore teatrale, il quale a sei anni ruba e da lì ha la stigmate di essere un ladro. Allora, a un certo punto, di Aut Aut si dice che, in realtà, sia una rivista che fiancheggia l'Autonomia: sinceramente non era vero. Si era solo creato un episodio legato a quel marpione di Toni Negri, il quale sapeva come fare per tirare dentro gli intellettuali. Accade infatti che, nel momento in cui si parla di teoria dei bisogni, Negri allunghi le orecchie, perché si ritrova in questa faccenda, non gli pare vero un'idea di lettura di Marx in cui c'è questo elemento del bisogno, il quale schioda la possibilità di rinchiudere il pensiero di Marx dentro un'idea economicistica. A fianco di questo c'era una sorta di terreno comune che riguardava l'investimento di molti commenti relativi a Marx in rapporto ad un libro che si conobbe soltanto in quegli anni e che si chiamava "Grundrisse", che poi fu tradotto in due volumi da La Nuova Italia, arrivando fino ad un investimento che andrebbe un po' corretto.

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