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INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 11 MARZO 2000


Poi, naturalmente, mi incontro con il movimento studentesco, però attraverso una sua lettura che, se vogliamo, potrebbe essere intellettualistica, ma lo faccio anche attraverso una pratica: non so e non ho mai capito cosa ciò significhi, è una parola che si usa, da tabella, io penso di farla tutti i giorni questa cosa e di averla sempre fatta nella mia vita, ma è difficile poi dire eccola lì. Comunque quel poco che io ho fatto nel senso di organizzazione, lì l'ho fatto dentro il mondo in cui io mi sono trovato a studiare e poi a lavorare, cioè l'università. Forse perché penso che, tutto sommato, si tratta di stare molto attenti nel fare salti, anche se capisco che erano un po' isolati dentro ad un contenitore e dopo non sapere che cosa c'è intorno, e arrivando subito alla fine, cosa che oggi è estremamente difficile da capire: si tratta di una questione molto complessa, è forse questa la difficoltà della politica di oggi, devi sapere che cosa ti sta accadendo. Recentemente, nel '98, ho pubblicato un testo sul '68 e sul quale sono tornato un po' a riflettere a distanza di trent'anni: si tratta si un testo che mi avevano chiesto per motivi del tutto contingenti e che poi ho pubblicato anche su Aut Aut. Nel '68 uscì anche un fascicolo di Aut Aut che, in un certo senso, non proprio in assoluto, fu il primo atto di Aut Aut diretto da Paci: io nel '68 avevo 26 anni, per cui ero nei dintorni della rivista, ci collaboravo ma certamente non avevo delle responsabilità, o meglio ne avevo ma non tali da poter decidere la linea della rivista. Ci fu, dunque, un numero della rivista (che già esisteva), mi sembra che fosse "La vita dei movimenti studenteschi" o qualcosa del genere.
Vediamo anche la storia della rivista, poiché ci sono tante cose che si intrecciano: essa, per conto suo, nasce nel '51 (mentre io per conto mio nasco nel '42); quando io entro in Aut Aut come collaboratore lo faccio, mentre sono all'università, insieme ad un tale che si chiamava e si chiama Salvatore Veca, che oggi è un personaggio della cultura cosiddetta ufficiale in questo paese. Mi incontro con lui già negli anni di liceo, facciamo praticamente un gemellaggio all'università, del tipo che andiamo a fare gli esami assieme (allora c'erano esercitazioni scritte che si facevano su tutti gli esami, e noi le facciamo insieme); insieme per un po' ci occupiamo anche di teatro e scriviamo una cosa a quattro mani: per la verità ne scriviamo diverse, ma questa è forse quella più significativa. Facciamo una serie di discussioni all'università con Paci, il quale ci dà spazio per fare queste discussioni che avvenivano il sabato mattina; andiamo avanti per due o tre sabati occupando queste ore di dibattito e di esercitazione che erano a ciò dedicate da Paci, che poi ci dice: "Perché non raccogliete questa cosa e fate uno scritto?". Noi raccogliamo, facciamo uno scritto e viene fuori un saggio su "fenomenologia e teatro". Mentre era una cosa di due ragazzotti, il saggio poi verrà preso stranamente sul serio, nel senso che verrà poi citato per esempio da Dorfles, ma anche da altri. Con Veca mi ritrovo anche a essere collaboratore di Aut Aut e poi ad essere sempre più vicino alla rivista, fino a quando tutti e due siamo i condirettori insieme a Paci; poi Veca prende un'altra strada e si separa dalla rivista, mentre io vi rimango. Alla morte di Paci Aut Aut rimane presso di me, con tutta una serie di problemi che, in quanto infiniti, non racconto. Dunque, il mio incontro con Aut Aut è in quegli anni lì: la rivista ha in mente una sorta di progetto di unificazione culturale. Tenete conto che sono gli anni in cui si discuteva parecchio delle due scienze, la scienza scienza e i saperi umanistici: non è che oggi si sia smesso di discutere di questo, ma allora era il pieno del dibattito. La rivista, dunque, per quanto schierata evidentemente sul lato umanistico (avendo dentro molto più di letteratura, di riferimento all'arte e via dicendo), aveva dentro anche riferimenti alla scienza; poi, negli anni '60, diventa una rivista più di orientamento fenomenologico. Dando anche un'idea della stratificazione della rivista, questa unificazione del sapere negli anni '50 diventa un'enciclopedia del sapere nella testa di Paci, che è quello che si identifica con la rivista, la fa lui, è la sua, molto più di quanto oggi non sia (se questo non è troppo immodesto) la mia rivista. Non c'era allora una redazione che discuteva; da un certo punto in poi invece la rivista avrà un gruppo di persone, il quale sarà addirittura abbastanza assembleare nel corso degli anni '70, poi magari dirò qualcosa di più preciso in proposito. Ancora oggi ci sono una decina di persone (dodici, tredici, quattordici a seconda delle volte) che, nel bene o nel male, decidono che farne di questa rivista. Allora non era così, era una rivista più fatta in casa, e la casa era quella di Paci. Negli anni '60 Aut Aut diventa un tentativo di avviare questo discorso, il quale però aveva una sorta di chiave filosofica che era la fenomenologia. L'idea di Paci è che la fenomenologia sia quel tipo di pensiero che ci può servire per introdurci in vari campi e collegare questi campi tra di loro.

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