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(pag. 9)
INTERVISTA A VITTORIO RIESER - 3 OTTOBRE 2001
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Qual è stato il tuo percorso di formazione politica e culturale e quali le eventuali figure di riferimento nell'ambito di tale percorso?

Il fatto di essere arrivato presto alla politica è legato anche alle mie origini famigliari: i miei genitori erano antifascisti, tutti e due hanno avuto periodi più o meno lunghi di militanza comunista. Mia madre è stata in carcere un anno, condannata dal Tribunale Speciale perché era responsabile del Partito Comunista clandestino a Grosseto; mio padre era un ebreo polacco comunista che ha fatto per alcuni anni il rivoluzionario di professione, poi si è rifugiato in Italia perché in Polonia era colpito da mandato di cattura. Qui non era noto in quanto comunista e il fatto di essere ebreo prima delle leggi razziali non era un problema, per cui è venuto in Italia e poi ci è rimasto. Tutti e due antistalinisti, mia madre è uscita nel '30 dal Partito Comunista ed è entrata in Giustizia e Libertà, mio padre ci è rimasto ed entrambi, un anno o due dopo la Liberazione, hanno smesso di fare politica. Quindi, questo è il clima di partenza, per cui era abbastanza inevitabile il mio precoce interessamento politico. L'altro elemento è costituito dalla situazione torinese, dalla repressione antioperaia alla Fiat: al di là delle cose politiche solite che uno fa, nella propria scuola, nei circoli di istituto ecc., per me impegnarmi in politica fin dall'inizio è stato occuparmi della questione operaia. A Torino, per esempio, c'è stata la prima manifestazione studentesca su questi temi nel '57, poi nel '59 ci fu una grossa partecipazione degli studenti ai picchetti per lo sciopero contrattuale. Inizialmente la mia formazione ha riguardato il tentativo di organizzare gruppi abbastanza consistenti di studenti sulla questione operaia, da lì il rapporto con il sindacato e quindi l'impegno anche nel lavoro di lega, la FIOM. Si tenga conto che il sindacato torinese già allora e poi per molto tempo (adesso non più) era molto avanzato: è quello che dopo la sconfitta alla Fiat e la svolta della CGIL ha tentato in modo più innovativo di ricostruire un rapporto con la classe operaia. Quindi, nel periodo dal '57 al '61 l'impegno era questo, al di là poi delle forme di militanza politica, perché inizialmente sono stato nel gruppo di Valdo Magnani, i comunisti titoisti; con esso sono entrato nel PSI, lì ho conosciuto Panzieri, prima semplicemente perché eravamo diffusori di Mondo Operaio nel periodo in cui è stato diretto da Raniero, poi questi è arrivato a Torino. In quel periodo si è formato un gruppo di studenti che svolgeva un lavoro di autoformazione politica che aveva come interlocutori principali da un lato i sindacalisti, da Garavini a Pugno, che venivano a spiegarci la fabbrica, la struttura contrattuale e via dicendo, e dall'altra invece politici studiosi prevalentemente anarchici, di ispirazione libertaria o comunista eretica. A Torino, infatti, c'erano alcuni anarchici (che ora sono quasi tutti morti) e poi venivano a tenerci delle relazioni Pier Carlo Masini, Luciano Raimondi, Giorgio Galli, che allora facevano una rivista che mi sembra si chiamasse Sinistra Comunista, una fronda da sinistra del PCI, il che era una cosa abbastanza rara all'epoca; c'era anche Cervetto in questo gruppo, il quale poi ha preso un altro filone. Quindi, avevo una formazione abbastanza eterodossa rispetto alle linee dominanti del Movimento Operaio, ma anche eterodossa rispetto ad una formazione marxiana. Io Marx l'ho conosciuto attraverso Panzieri, allora noi andavamo direttamente a queste varie fonti antistaliniste del movimento operaio ma senza avere una base teorica marxiana.
Panzieri è arrivato a Torino nel '59 e, avendo già avuto prima contatti con lui, abbiamo subito cominciato a lavorare insieme. Nel frattempo qui c'era questo lavoro studenti-operai, a Milano invece abbiamo conosciuto Alquati, Gasparotto e gli altri; Panzieri aveva una serie di legami con intellettuali come Tronti e Asor Rosa già dall'epoca di Mondo Operaio. Tutto questo poi quaglia nel '60 attorno a due cose: una è il progetto di una rivista, cioè Quaderni Rossi, che poi si realizzerà l'anno dopo; dall'altra parte c'è l'inchiesta alla Fiat, che inizia nell'estate '60. Lì l'influenza di Panzieri è stata determinante, nel senso che noi lavoravamo in quel momento con il sindacato non sulla Fiat ma in altre fabbriche torinesi, sostanzialmente quelle dove c'erano già delle lotte, e dicevamo "continuiamo a fare il lavoro su queste cose, alla Fiat come si fa?". Panzieri, invece, diceva: "no, dobbiamo affrontare la questione e il nodo della Fiat, e l'unico modo per farlo è lo strumento dell'inchiesta". Quindi, a quel punto sull'inchiesta alla Fiat si coagularono tutti. Alquati e Gasparotto vengono qui, quindi il nucleo torinese dei Quaderni Rossi è nato sostanzialmente attraverso questo lavoro.

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