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INTERVISTA A RAF "VALVOLA" SCELSI - 20 GIUGNO 2000


Dopo di che aprimmo questo posto dentro il Leoncavallo, che allora non aveva la gestione fariniana o dei Transiti, ma era quella dei vecchi, quelli legati più a forme di solidarietà con coloro che stavano in carcere ecc., e con cui abbiamo chiaramente avuto numerosissimi scazzi in quegli anni in cui fummo lì; però complessivamente ci diedero la possibilità di avere dentro il Leoncavallo un posto che appunto si chiamò Helter Skelter, che significa casino, e che rappresentò un po' tutta la scena controculturale di allora in Italia, ed era non solamente musicale ma anche di teatro, di sperimentazione, di cinema. Intorno all'85, ad esempio, contestammo la Comune Baires perché stava facendo una rassegna di cinema underground americano, con una serie di registi punk; per cui andammo lì, contestammo tutto, questi qui si sentirono in dovere di venire a rifare, a prezzi molto più bassi, la rassegna da noi. C'era dunque un certo potere di imporre una serie di svolte culturali nella città. Questa esperienza durò due anni, poi si sciolse per ragioni sia interne che esterne e dopo di allora, o contemporaneamente alla sua fine, partimmo con l'esperienza della radio: tenemmo una trasmissione a Radio Popolare che si chiamava Tensioni Radiozine, durò più di un anno, c'era esperienza di cut-up, di montaggio e rismontaggio delle cose in maniera abbastanza provocatoria, letture, musica industrial o punk, ed era una trasmissione abbastanza seguita, considerando che era alle 9 di sera, se non ricordo male di mercoledì. Contemporaneamente eravamo partiti anche con un altro progetto, che era un gruppo musicale, si chiamava Idra mentale, dal nome di una fanzine. Il nostro gruppo era fatto da cinque elementi di cui tre avevano ognuno una fanzine diversa: una si chiamava Idra mentale, l'altra Comando inopuré e una terza si chiamava Fame. Quindi, cinque soggetti e tre fanzine, questo per dare un'idea delle percentuali che c'erano allora. Partimmo quindi con questo gruppo che faceva musica industrial, ma poi alla fine crollò la sala prove, proprio nel senso fisico.
A quel punto il progetto di Decoder era già stato avviato come rivista. Primo Moroni ci diede l'incarico di formare una rivista che servisse da ponte di collegamento tra la vecchia componente della libreria e la nuova, quella cosiddetta punk. Quindi, riepilogando, erano partiti un po' di progetti insieme: l'Helter Skelter, la radio, il gruppo musicale, la rivista, la collaborazione con la Calusca in maniera più organica, dunque tutta questa serie di esperienze. Poi, per una serie di problemi economici, Primo non ci diede più i soldi, perché inizialmente doveva darceli lui per fare la rivista: noi abbiamo continuato e abbiamo fondato Decoder lo stesso. A quel punto eravamo liberi dal doverci rapportare con i soggetti degli anni '70, per cui abbiamo scelto esplicitamente che degli anni '70 noi non avremmo assolutamente parlato: alcuni di noi avevano quel tipo di background, comunque venivamo da quelle storie lì, però era partita una nuova fase. Noi fin da subito fummo chiarissimi e lucidissimi, mi stupisco del modo in cui fummo lucidi, perché nell'85 già parlavamo di digitale, di informazione, di comunicazione, cioè parlavamo degli stessi temi che ci sono adesso, certamente con un grado di comprensione diverso, ma fummo molto lucidi. Se infatti si legge l'editoriale del numero zero di Decoder si rimane allibiti, perché c'è questo soggetto che comincia a fare l'amore con un soggetto tecnobionico e dei due ne viene un mostro, e questo qui è Decoder: quindi, per certi versi avevamo intuito quasi empaticamente il tipo di trasformazione che stava avvenendo. Da quel momento, quando iniziamo a parlare di reti, di digitale, di informatica, veramente le accuse che ci venivano fatte erano pesantissime, da parte dell'Autonomia in particolare: venivamo definiti i tartufi del capitalismo, androidi di sinistra (furono i romani che ci chiamarono così), ce ne hanno davvero dette di tutti i colori. Poi non è che fossimo degli stinchi di santo, se li beccavamo dimostravamo a parole che chiaramente sbagliavano. Però era veramente un salto di cultura.
Oggi l'esperienza di ECN per certi versi ha permesso a numerosi soggetti di rapportarsi in maniera diversa con la telematica, allora eravamo visti proprio come pezzi di merda, tranne le componenti che già percepivano quello che stava accadendo. Abbiamo fatto tre-quattro numeri di Decoder, poi abbiamo fondato la casa editrice Shake. Contemporaneamente ci siamo impegnati nel progetto di costruire una rete alternativa, digitale, orizzontale e rizomatica: queste furono da subito le parole d'ordine che abbiamo dato.

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