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INTERVISTA A RAF "VALVOLA" SCELSI - 20 GIUGNO 2000


Per te quanto è stato importante guardare agli Stati Uniti, realtà, nella sua ambivalenza, a cui tu ti rivolgi molto presto anche rispetto a tutto il discorso sul cosiddetto postfordismo?


Credo che gli Stati Uniti in Italia siano un punto di riferimento ambivalente con il quale fare i conti continuamente, ma questo per tutti, per chi lo dice e per chi non lo dice. Perché gli Stati Uniti sono il luogo dell'immaginario, sono il luogo della produzione di merci, sono il dominio. Poi noi, essendo sotto l'ombrello americano, è gioco forza che con gli Stati Uniti ci devi fare i conti: hanno determinato la politica interna italiana perlomeno dalla svolta di Salerno del '43 fino ai giorni nostri, questo è indubbio. Poi, per quanto riguarda la mia esperienza e il mio percorso soggettivo, gli Stati Uniti sono la patria della controcultura, quindi per me sono stati questo. Chiaramente gli Stati Uniti sono anche Reagan, sono il Ku Klux Klan ecc., ma io ho guardato proprio questo aspetto qua: sono la Beat Generation, sono Miller, sono Melville, Moby Dick è straordinario, sono Whitman, sono questi autori. Certo, questi autori li ho scoperti nel corso degli anni, però c'è il mito della frontiera, dietro gli Stati Uniti c'è chiaramente il mito del viaggio, che è poi un viaggio fisico, di mobilità, di non adesione a delle cose pattuite, sacrali, configurate, stabili; diversamente, c'è questa illusione di mobilità che invece gli Stati Uniti ti riescono a dare. Insomma, gli Stati Uniti sono un sogno, il grande sogno americano effettivamente ce l'ha dentro questa illusione. Per me non tanto il discorso della democrazia, perché non ci ho mai creduto alla democrazia americana, devo dire la verità; però mi ha sempre interessato l'elemento organizzativo dal basso, o perlomeno la capacità dal basso di saper creare comunità. Quindi, sono talmente grandi gli Stati Uniti che qualsiasi cosa che abbia le gambe per marciare riesce a darsi una modalità di esistenza, e questa secondo me è una cosa straordinaria.
L'Italia è un paese papalino, dove ogni cosa che fai è l'esito di centomila mediazioni, è un paese bizantino, molto sofisticato dal punto di vista politico, ma dove tutto è l'esito di uno scambio "politico": per poter lavorare nell'università tu devi scambiare la tua vita (ed è questa la ragione per cui io non lavoro all'università), devi leccare il culo a qualche docente in cambio di un riconoscimento che ti darà per cinque, dieci, quindici anni. Questo tipo di dinamica per certi versi in America non esiste, da questo punto di vista essa è un paese più aperto, più libero; poi certamente, essendo un paese neoliberista o liberista, è un luogo in cui il povero viene lasciato a se stesso. Non c'è in quel caso la mediazione come c'è qui dappertutto, a ogni livello della società, per cui esiste, interviene una mediazione sociale rappresentata dalla Chiesa, anche dallo Stato, dal welfare-state configuratosi negli anni '50, quello progettato da Vanoni ecc., che aiuta comunque i poveri a sopravvivere: negli Stati Uniti evidentemente no, ma questo perché il nostro è un paese dove tutto viene mediato, tutto viene scambiato, tutto è esito di un processo continuo di contrattazione, o perlomeno è stato così. Oggi probabilmente l'elemento caratterizzante la nuova fase è che stanno saltando tutti gli agenti di mediazione sociale, questo sia a livello parlamentare e di commissioni parlamentari, sia a livello di organismi che dovrebbero permettere alle istituzioni parlamentari di rapportarsi con la società, sia poi all'interno della società stessa. In questo momento nel paese c'è dunque un processo oggettivo di snellimento delle figure di mediazione sociale, ma se ragioniamo in termini storici lunghi il nostro è un paese comunque caratterizzato da elementi di mediazione. Invece l'America non è questo paese qua, è un paese innanzitutto dove le controculture hanno avuto il diritto di esistenza: qui entra ad esempio una mia polemica nei confronti della nuova sinistra, io sono convinto che essa in Italia abbia spezzato le reni alla controcultura, più o meno volontariamente, intorno al '75. Nel momento in cui si è alzato il livello dello scontro la prima componente del movimento a saltare è stata quella controculturale, perché non poteva evidentemente reggere quel tipo di dimensione, quindi prosciugando da sé l'aria nella quale poi avrebbe attinto linfa ed energie. Non è stata in grado di mantenere questo mondo: che sia stato per scelta consapevole dei soggetti o esito naturale di un processo storico, questo non sta a me dirlo, comunque il primo risultato fu che, intorno al '74-'75, quando partirono i cicli proletari giovanili, che per certi versi furono l'ultima esperienza controculturale (anche se poi innescata dalle organizzazioni), per quanto riguarda le controculture era però già finito tutto, o perlomeno stava finendo tutto. Poi dopo c'è stata un'altra storia.

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