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INTERVISTA A MARIO PICCININI - 10 GIUGNO 2001


Lo schema che proponete è interessante, perché in qualche modo è uno schema a verifica; e nel contempo però ho l'impressione che sulla figura del quadro, che è quella più omologa ad esperienze classiche, sia di impresa sia di partito, ci sia qualcosa che io ho difficoltà in qualche modo a rendere operativo dal punto di vista analitico. Ma ciò più che un'intervista richiederebbe un seminario, anche se penso che sia una cosa di estremo interesse.


Quali sono i stati i tuoi numi tutelari? Quali figure ti hanno indirizzato verso certe dimensioni e quali autori consideri tuoi punti di riferimento?

Questa è una domanda difficile, perché ha risposte ovvie, ma per alcuni aspetti poco personali. Per la mia generazione sicuramente l'incontro con chi aveva portato avanti la linea da Quaderni Rossi a Classe Operaia è stato ovviamente decisivo. Per chi come me veniva, anche se in condizioni assai particolari, dalla militanza comunista esso ha assunto un valore emancipativo enorme Questa provenienza probabilmente ne ha determinato alcune caratteristiche specifiche e forse qualche diversità Negri è uno verso cui tutti siamo debitori di una sollecitazione politica e di pensiero che va riconosciuta, al di là delle scelte e di opzione teoriche, ma quando dicevo un po' come battuta che noi eravamo più trontiani che negriani, forse anche perché Toni era a distanza di 30 km., esplicitavo anche un dato che probabilmente nella mia formazione, ma anche in quella dei compagni con cui ho lavorato e nell'immaginario anche di quelli più giovani tra questi, un discorso sulla storia comunista, senza nessun continuismo, in qualche modo ha avuto un qualche peso diverso rispetto a quei compagni che venivano direttamente da esperienze di movimento. Mi rendo conto che detta oggi suoni un po' curiosa, però c'è stata una diversità d'accento per coloro che hanno comunque avuto un rapporto reale con le forme storiche e di massa del Movimento Operaio. Il che non comportava alcuna riduzione della critica, però comporta a volte una percezione diversa dei problemi, questo sì. Quando leggevo le cose di Romano sui quadri su Classe Operaia poi raccolte da Guido Bianchini in volume, e nel contempo facevo intervento in Lanerossi, dove mi trovavo davanti una storia politica operaia lunga e paradossalmente compresente (dai bordighisti in avanti), percepivo che ragionare su alcuni elementi di soggettività, di stratificazione della composizione politica mi serviva anche a capire i lessici, i linguaggi, le modalità. E lavorare anche sulla durata, sulla tenuta. Ricordo un ragazzo dell'Alfa di Arese, tra i pochi di Potere Operaio, di quelli che incarnavano alla perfezione la figurina del rifiuto del lavoro e di quella cosa che sul piano del quadro politico secondo me non è mai esistita, cioè l'operaio-massa. Lo dico senza polemica, nello stesso modo con cui Italo Sbrogiò affermava che l'operaio-massa è stata una delle invenzione più felici dell'intervento a Marghera, ma che, almeno lì, non c'è mai stato. Ebbene questo giovane operaio con l'orecchino insisteva a spiegarmi che il padrone sbagliava a fare la produzione, mescolando in un unico parlare almeno trent'anni di stratificazioni discorsive operaie. Non è male ricordarlo in un clima di imperanti postfordismi, basta che non venga fuori qualche babbeo a dire che sono fermo al paradigma fordista.
Allora, da questo punto di vista, chi ha influenzato il mio modo di ragionare sull'intervento politico è stato chi ha ragionato sulla forma complessiva del movimento operaio ha influenzato di più la mia sensibilità, senza paradossalmente darmi maggior buon senso in fatto di radicalismo. Devo fare un esempio: rispetto al quadro dirigente di PO di seconda generazione, uno come Oreste Scalzone mi è sempre sembrato politicamente più intelligente di altri, al di là delle sue traversie e dei suoi disastri personali, proprio perché aveva una comprensione non estremista dei processi in questo senso specifico, cioè nel senso della complessità delle figure, delle relazioni, della stratificazione e nel capacità di introdurre elementi di rottura su punti determinati.
Le modalità di influenza sono sempre problematiche: se volessi fare un discorso personale devo dire che in questi trent'anni ci sono esperienze intellettuali e personali molto diverse, da una pratica analitica freudiana al recupero, o forse meglio al riconoscimento, di una passione filosofica di vecchissima data che non sono più disponibile a risolvere nei termini compositivi della coppia teoria-prassi.

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