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INTERVISTA A MARIO PICCININI - 10 GIUGNO 2001


Penso che in questi anni ci sia stata un'afasia in cui si sono raggrumate molte delle questioni irrisolte e non più risolubili che rende difficile anche ripensare la propria storia, un silenzio reso più assordante dall'imperare garrulo e vagamente secondo cui l'autocritica è prescritta e resa possibile solo quando tu recedi dalla forma difficile del problema che hai incontrato alla sua caricatura. E questo non riguarda tanto le 'ideologie', quanto proprio le prese politiche. Le forme di autocritica, e non sto parlando di quelle ignobili, ma anche quelle fatte da compagni che pure hanno tentato di pensare in questi anni, si sono date sempre dentro una sorta di regressione rispetto alla non sostenibile incandescenza di problemi decisivi. Ciò ha determinato vie di fuga anche di carattere conoscitivo: una di queste è l'incapacità di fare un discorso sul lavoro oggi da parte di molti che operano nelle scienze sociali con un passato di movimento: non dico un discorso sulla classe, che è un discorso appunto sulla soggettività, sui quadri e tendenzialmente sulla forma-partito. La regressione politica ha avuto un impatto anche su questo terreno. Dopo di che si può anche dire che l'operaio di fabbrica è il nostro contadino ottocentesco, affermazione che di per sé non dice quasi nulla, perché devi assolutamente riempirla di altre cose. C'è in questo un abbandono di responsabilità di questo tipo a me pare richiamare una questione di etica e di statuto, prima ancora che di analisi sociale., su cui ovviamente ognuno argomenta come crede di dover argomentare. Credo tuttavia che sia qualcosa che continua ad avere un tratto occlusivo anche rispetto alla lettura del presente.


Noi abbiamo provato a differenziare i diversi livelli su cui bisogna muoversi. C'è un livello di militanti di lotta, che si danno ogni volta che la lotta diventa movimento concreto e agire sociale. Poi ci sono i militanti operai, in cui c'è un qualcosa di più della partecipazione alla singola lotta, c'è anche un discorso di continuità all'interno di una situazione specifica data. C'è poi un livello di militanza politica che è una cosa diversa: alcune volte si sommano, le persone passano da sotto a sopra, però sono livelli differenti. E poi c'è un livello di direzione politica, ossia militanti che non hanno solo la dimensione politica ma anche quella di direzione del movimento. L'altra cosa che bisogna specificare è la differenza tra quadri e militanti. Un'ipotesi potrebbe essere quella di considerare il quadro come una figura che in qualche modo attua e rende effettiva una "linea", un punto di vista già espresso in un altro ambito. Sono le figure intermedie dal processo dirigente al processo esecutivo, quindi chi permette l'attuazione di un processo. Mentre invece il militante è una figura diversa, ha una capacità di fare e di rendere possibile un continuo su e giù fra un discorso di elaborazione e un discorso di verifica, quindi ha anche una dimensione più autonoma di costruzione del progetto, al di là di dove esso venga collocato all'interno di questa scala. Il militante della lotta, per esempio, è quello che comunque ha una capacità di rendere la lotta effettiva, di darle una certa dimensione e determinati obiettivi.

E' uno schema industrialista, non so se poi si applichi davvero questa differenziazione.


Pensa però ad alcuni istituti come per esempio il sindacato, o i partiti politici tradizionali ed istituzionali, dove il semplice livello di collocazione dà anche un livello di elaborazione e di autonomia effettiva: più sei in basso e meno hai autonomia, più sei in alto e più hai relativa autonomia.

Il rischio è quello di avere una fotografia con un eccesso di messa a fuoco, con contorni troppo marcati. Se consideriamo i tracciati della soggettività, ho l'impressione che non sempre il modello industrialista sia perspicuo, non solo rispetto alla storia di chi si inscriveva nel progetto comunista, ma anche per le istituzioni del movimento operaio. Il rischio è di omologare esperienze differenti per perseguire un'istanza giusta di de-ideologizzazione.

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