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INTERVISTA A MARIO PICCININI - 10 GIUGNO 2001


Il Partito Comunista di Vicenza ha una storia un po' particolare, con tratti simili alla federazione di Bergamo: c'è un famoso incontro notturno sull'autostrada quando viene di corsa Garavini e riesce a bloccare il fatto che tutta la federazione passi con il Manifesto. Questo è un posto dove l'esperienza dell'inchiesta operaia, la rivolta del '68 alla Marzotto di Valdagno, la cui costruzione è legata strettamente all'iniziativa di una componente di origine sindacale del PCI, hanno lasciato un segno importante: questo fa crescere e poi sedimentare un quadro che al momento del Cile in qualche modo è già tutto uscito e si mette a disposizione. L'aggregazione di questi compagni attorno al nucleo di P.O. ci permette di dare vita a un'esperienza che si chiama Classe e Partito e che credo essere, ovviamente nei limiti di un'esperienza periferica, abbastanza grossa. Riprendiamo consapevolmente una denominazione che era stata del dopo-Classe Operaia da parte di alcuni, in senso esattamente rovesciato, dicendo: "guardate che qua c'è un problema di organizzazione generale, cioè c'è un problema della funzione politica rispetto alla classe. La soluzione di gruppo non basta, c'è un problema di organizzazione del quadro politico se si vuole procedere col quadro operaio". E sosteniamo un discorso sulla ristrutturazione e sui settori, privilegiando il chimico-tessile, che si è rivelato poi tutto sommato abbastanza fantasioso, perché franato all'interno della tenuta operaia, ma anche dello stesso interesse capitalistico a sopportare i costi di ristrutturazione. Lanciamo un intervento massiccio, per presenza e numero di compagni coinvolti, sulla grande fabbrica del polo tessile, dalla Marzotto alla Lanerossi, che era appunto industria di Stato e ci interessava anche questa idea dell'industria di Stato come nucleo di riferimento rilevante, escludendo ogni ottica di semplice reclutamento, ma con un discorso di direzione e di sponda politica per i quadri operai. Riusciamo ad esempio ad andare a parlare regolarmente nel consiglio di fabbrica della Lanerossi, compresi gli esterni, accettati dai delegati che impediscono al sindacato di buttarci fuori. Con un rapporto sostanzialmente buono, nonostante i mille scazzi di ordine tattico, con Lotta Continua, che, seppure un po' riluttante, alla fine segue le nostre parole d'ordine, producendo fogli e un giornale di intervento a gittata lunga, ripercorrendo le filiere del settore fino a contattare e tenere rapporti con i compagni che lavorano nei laboratori di progettazione e nelle consulenze d'impresa: capita così di arrivare di fronte alla fabbrica con del materiale che la direzione corre a procurarsi perché contiene notizie che non ha ancora e che invece gli operai ora hanno.
E' un'esperienza tutta arroccata a ridosso del polo industriale con uno schema di militanza dispotico. Lavoro politico a tempo pieno. Niente simpatizzanti, meglio finanziatori. E' caricaturale, lo si sa, ma funziona. Nel contempo, centralità del discorso operaio, battaglia nel movimento su questo; qualche presenza, minoritaria, in università, scazzo ovviamente con i compagni di Padova con cui, tutto sommato, venendo dal cuore duro di Potere Operaio veneto, i rapporti non sono però mai disastrosi; compagni legati all'esperienza dell'Assemblea Autonoma di Marghera hanno avuto in fondo rapporti più difficili. Con la nuova generazione che darà vita ai Collettivi Politici padovani c'è un rapporto di sostanziale rispetto, freddezza, convergenza nelle politiche di movimento: accusati di essere 'di destra' perché facciamo un discorso industrialista molto rigido, quando tutti lo stanno mollando, non lo siamo certo in termini di movimento. Ciò che non ci convince nelle analisi sulla diffusione produttiva, non è tanto l'attenzione ai processi di dislocazione, ma l'idea semplicistica di produzione, l'assunzione ingenuo dello spazio territoriale come referente analitico e organizzativo. Non possiamo ritrovarci su ciò che chiamiamo con sarcasmo la "fabbrica confusa", perché in realtà il decentramento ce lo abbiamo sotto casa e vediamo tessuti produttivi, reticoli, modalità, articolazioni del comando d'impresa in modo radicalmente diverso dal territorialismo imperante. Questa esperienza dura circa quattro anni, incidendo in profondità, fino al tentativo di occupazione della Lanerossi e alla sconfitta della piattaforma del '76, quando lanciamo in fabbrica la parola d'ordine del sabotaggio, cercando di tenere il livelli di combattività nei reparti con forme articolate al di sopra delle nostre forze: ma in realtà l'esperienza complessiva trova un blocco politico. Il '77 decompone questo percorso: una parte del quadro che era cresciuto intorno ad esso sceglie, con un'ottica che a me sembra paradossalmente neoentrista, la linea centrale che sta passando nel Veneto, che è quella dell'Autonomia espressa dai compagni dei Collettivi Politici.

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