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INTERVISTA A MARIO PICCININI - 10 GIUGNO 2001


Percorro quindi l'esperienza m-l nel circuito veronese-trentino, facendo riferimento soprattutto all'Università Negativa di Trento, con un'entrata fugace nel PCd'I (m-l) attraverso Lavoro Politico che si consuma - né può essere altrimenti - in modo estremamente rapido. Sia per il gruppo che avevo costruito a Vicenza uscendo dalla FGCI, sia per i compagni di Trento con cui eravamo in rapporti abbastanza stretti, quel tipo di esperienza si brucia in fretta perché in fretta si mostra del tutto inconsistente come strumentazione verso la realtà. E' dal '69 in avanti che comincio a capire qualcosa, guadagnando un po' in indipendenza intellettuale. Nel '69 appunto rompendo gli steccati e le paratie, che in qualche modo avevano la forma di deriva dell'uscita dalla FCGI, riusciamo a mettere in piedi un'assemblea comunista provinciale, che è composta essenzialmente da un nucleo studentesco e intellettuale di Vicenza, una fascia di universitari della provincia che studiano a Trento e una fascia di giovani operai, principalmente nelle zone industriali, soprattutto Schio e un po' Arzignano, che era un polo di elettromeccanica. Questa assemblea nel corso del '69 segue in qualche modo un tracciato noto: si va a Torino, si va a Marghera, e quando c'è la rottura dell'assemblea operai-studenti di Torino e della prima Lotta Continua, i 'vicentini' mettono in piedi Potere Operaio, e quindi fanno riferimento a Padova - un rude incontro di chiarificazione con quel compagno straordinario che è stato Guido Bianchini ha avuto un ruolo decisivo -, mentre i 'trentini', a parte qualcuno che faceva riferimento come noi ai compagni andati da Trento a lavorare con il CUB della Pirelli a Milano, mettono in piedi Lotta Continua. Con questi compagni ci sarà stima e discussione in una sorta di parallelismo di fatto fino al '76, con una Lotta Continua per molti aspetti estranea al profilo regionale boatiano, convergente con noi su molte cose, specialmente negli anni '70, però legata molto di più ad un'ipotesi di movimento che di organizzazione politica.
Allora, tornando a Potere Operaio: quando entriamo, nell'inverno tra '69 e '70, PO nel Veneto è nella fase più critica, con il Comitato Operaio di Porto Marghera che era uscito dall'organizzazione, e con la priorità assoluta di garantire una tenuta regionale e il rilancio del percorso organizzativo. Sono anni - intanto mi sono iscritto a filosofia a Padova - in cui la situazione locale passa in secondo piano, di mobilità assoluta dei quadri: io, come tutti, lavoro essenzialmente su scala regionale, intervenendo in vari posti dalla meccanica ad ovest di Vicenza agli studenti a Padova, da Marghera all'università a Venezia. Anni esaltanti di crescita politica, del progetto e personale, ma anche di ricerca collettiva e di dibattito vero, come raramente mi è stato possibile sperimentare. Il quadro si irrigidisce impoverendosi quando si fa avanti la linea 'insurrezionalista'. C'è difficoltà a ritrovarsi sulle tesi avanzate da Negri in "Crisi dello Stato-piano" e sulle proposte politiche avanzate al Convegno dell'EUR; in termini di analisi della risposta capitalistica e dei processi di ristrutturazione i compagni di Vicenza - fermo restando il discorso sull'organizzazione autonoma - saranno su posizioni più sintoniche con quanto sostengono i compagni veneziani di Contropiano che con le tesi di Negri, con cui resta tuttavia una dialettica positiva fino a che resta nel Veneto. Quando Toni va a Milano e con l'esperienza dei Comitati Politici emerge una diversa composizione di quadro, di estrazione universitaria e studentesca e di connotazione più movimentista, i rapporti diventano difficoltosi, determinando una situazione di allentamento che diventa pesante quando Lauso Zagato, un compagno con cui c'era stata una lunga consuetudine di lavoro e una buona intesa, abbandona la segreteria regionale. Vicenza resta dentro l'organizzazione nazionale, ma non riconosce più il regionale: ci fanno sghignazzare i discorsi sulle centurie rosse a Cavarzere, mentre si sta abbandonando l'intervento sulla grande fabbrica e la comprensione dei processi di ristrutturazione industriale è obliterata da pochi slogan sulla forza. Di fatto, già prima, di Rosolina siamo fuori, dentro un'ipotesi di riorganizzazione del ceto politico e del quadro operaio che individua nella contrapposizione di rottura politica e riarticolazione di classe un'alternativa falsa e alla lunga disastrosa. Nel contempo fa gioco la specificità del Partito Comunista in provincia di Vicenza: per tutti gli anni '70 avevamo avuto un rapporto con la cellula universitaria del PCI che è, come dire, di corda e impiccato. Con questi compagni discutiamo per tutti i primi anni '70, sugli studenti interveniamo essenzialmente sulle stesse parole d'ordine. Nel '73-'74, quando questi escono in massa, ci portiamo via di fatto un pezzo di segreteria del partito, compreso il responsabile della commissione operaia, oltre che qualche ex-consigliere comunale.

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