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INTERVISTA A GIANCARLO PABA - 7 SETTEMBRE 2001


E quando dico questo significa che non è all'ordine del giorno né oggi né domani né dopodomani, cioè non in tempi prevedibili, tempi che possano comportare una modificazione o un attrezzarsi per, non è all'ordine del giorno e non è neppure il caso di mettersi al lavoro perché lo diventi domani o dopodomani. Dico per fortuna perché ciò ci consente di lavorare più liberamente, apre uno spazio di lavoro. Non dobbiamo prendere il potere, e non rispondo alla domanda se domani sarà possibile, se esiste un potere, queste sono domande difficili, se ne può discutere naturalmente, ma in fondo sono domande che mi annoiano, che non mi interessano. Penso insomma che non ci sia un potere da prendere, ma in ogni caso che non dobbiamo prenderlo anche se ci fosse, non siamo nelle condizioni di prenderlo anche se lo volessimo, la si metta come si vuole (sto parlando dell'Italia, perché poi le situazioni sono diverse).Tutto questo in fondo ci mette in una condizione di libertà di sperimentazione. E allora noi dovremmo utilizzare totalmente questa libertà di sperimentazione, perché siccome la rivoluzione non è all'ordine del giorno noi non dobbiamo misurare il livello di efficacia di quello che facciamo in rapporto a questa prospettiva, ma possiamo lasciarci sedurre da altri parametri di valutazione che non sono quelli dell'efficacia rivoluzionaria e organizzativa. E allora per questo oggi ritengo interessanti gli altri microparametri di valutazione cui facevo riferimento prima. Sono quindi giuste le cose che danno potere alle situazioni sociali decentrate, che danno cittadinanza a chi non ce l'ha, che consentono il rafforzamento o la creazione di legami in chi è atomo isolato e spostato da tutta un'altra parte del mondo, e così via. E' dunque un momento di libertà questo nel quale viviamo, io vedo questo periodo nel quale appunto la rivoluzione non è all'ordine del giorno come una fase che ha per me una durata in cui acquistano significato le pratiche sociali. Naturalmente questo apre un dibattito su quali pratiche sociali siano interessanti e quali no, quali modi di condurre o di partecipare alle pratiche sociali siano interessanti, quali siano i soggetti ecc. Apre dunque un campo sul quale poi ci si può anche dividere. Siccome nessuno può pensare a forma organizzative di tipo classico, uno può ipotizzare forme reticolari, questo è vero. Siamo forse costretti a questo, ma visto che lo siamo delle carte o dei cantieri in questo momento io sottolineerei la positività del fatto che queste reti connettono situazioni che hanno la libertà di sperimentare e improvvisare, questo è l'aspetto più interessante. Senza che quello che avviene in un quartiere di Londra debba necessariamente assomigliare in modo totale a quello che avviene nei Quartieri Spagnoli di Napoli. Quindi, semmai sviluppando l'osservazione e la curiosità reciproca, l'imitazione, il trasferimento di idee e di pratiche, la trasformazione piuttosto che l'omogeneizzazione, la precipitazione di modelli organizzativi, anche reticolari, l'assimilazione. Quindi, è importante anche qui la libertà di sperimentazione, e semmai anche qui la curiosità verso la misurazione di ciò che accade in positivo, di come in un punto si sposta un rapporto di forza, si crea una situazione interessante. Poi anche qui ci sono i fenomeni di mitizzazione: io non sono stato a Porto Alegre, immagino che ormai sia una costruzione mentale più che una città. Però, ci sono aspetti interessanti. C'è una parola che è compromessa e non si può usare: l'interesse per le buone pratiche. Ora, mi rendo conto che questa espressione è pericolosa perché porta a non discriminare: mi piacerebbe infatti entrare nei dettagli di che cos'è una pratica interessante per me, cosa deve spostare, cosa è in positivo che deve accadere, è un problema abbastanza complesso. Quindi, è ovvio che non è che non mi piaccia tutto ciò che è azione, il suo contenuto deve naturalmente avere dentro di sé un carattere di opposizione. Però, questa libertà di sperimentazione mi sembra un connotato positivo della situazione attuale. Mi ricordo un incontro che abbiamo fatto per Carta a Napoli, in cui discutevano Agnoletto (che allora non era noto) e Bertinotti. Bertinotti in realtà diffidava di questo mondo di reti Lilliput e di altri, un mondo con cui lui vuole dialogare perché politicamente è conveniente, ma è ovvio che non gli piace e che non lo capisce tanto. A un certo punto Bertinotti ha detto: "sì, siete interessanti, ma non vi ponete il problema della rottura, dell'esito politico di quello che fate, in fondo della rivoluzione". Mi volevo alzare e dire: "ma per fortuna siamo nelle condizioni di non dovercelo porre questo problema!", perché se ce lo ponessimo in Italia nel 2001 io credo che saremmo di una coglionaggine totale. Se ci ponessimo il problema delle rivoluzione in questo momento probabilmente ci iscriveremmo al gruppo che ha ucciso D'Antona oppure faremmo delle discussioni da salotto. A meno di non rideclinare la parola rivoluzione, ma allora ritorniamo daccapo.

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