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INTERVISTA A GIANCARLO PABA - 7 SETTEMBRE 2001



Prima hai citato il filone anglosassone del comunitarismo e del libertarismo: puoi approfondire questo aspetto?


Ho incontrato questo filone in un ambito molto specialistico, e cioè nella declinazione che va da Patrick Geddes a Lewis Mumford e ad alcuni epigoni successivi, che peraltro erano legati all'anarchismo otto-novecentesco (Geddes era legato a Kropotkin e così via). C'è questo filone di pensiero legato alla fiducia nella possibilità di prendere nelle mani il proprio destino: questo è un aspetto che nella tradizione comunista e della sinistra non c'era, in essa prevale l'aspetto della rivendicazione, della lamentosità o dell'attesa messianica. Invece, lì c'è questo aspetto di una forma di pragmatismo alto di derivazione americana. Poi leggo volentieri perfino Emerson, ci sono delle sue cose rivoluzionarie, nel trascendentalismo americano, però non ci scriverei mai sopra, capisco che sono oggetti pericolosi da un certo punto di vista, perché è dura parlare con questo linguaggio a un gruppo che occupa le case. Tuttavia, questo è un filone interessante, da considerare. E mi riferisco più a quelli vecchi che a quelli nuovi: paradossalmente leggo malvolentieri i libri moderni su questo aspetto, per esempio gli odierni testi sul neocomunitarismo li leggo con più fastidio, li trovo più rigidi e ideologici (Etzioni, Bellah ecc.). Invece, la grande tradizione come sempre è più ricca e stimolante e ti consente più libertà anche nel costruire il tuo personale sistema di pensiero e di azione, io farei leggere obbligatoriamente Walt Whitman nelle scuole italiane invece di Carducci. Quindi, è una tradizione di pensiero interessante, e in parte non mi dispiace neanche rileggere con un filtro critico un'altra tradizione non marxista e non comunista come la sua versione italiana negli anni '50 e '60, ossia il movimento di Comunità. Con molto filtro critico ovviamente, però è interessante la tradizione olivettiana, la tradizione del movimento di Comunità in generale, la riscoperta di alcune figure, da uno più noto come Danilo Dolci a uno meno noto come Carlo Doglio nell'urbanistica, sempre legati a questa tradizione prevalentemente anarchica. E' importante quello che ha fatto Dolci a Partinico, con la capacità di tenere insieme formazione, senso della comunità, trasformazione del territorio e del paesaggio, scuola e dighe per l'acqua. Sono aspetti trascurati dalla tradizione comunista, valutati sempre come cose poco interessanti, un po' riformiste, poco rivoluzionarie, di apostoli laici come Danilo Dolci o di preti. Invece, questa è una tradizione interessante, da ristudiare. E infatti qualche cosa abbiamo anche fatto su questo, ad esempio un convegno su Danilo Dolci, altri convegni su Mumford. Alcune sono delle letture molto specializzate, altre sono forse più note. Però, è interessante questa tradizione degli anni '50 e '60, in cui c'era anche molta ideologia, naturalmente sono tradizioni che vanno rilette e depurate: tuttavia sono importanti perché connotate da una dimensione del fare e dell'agire che la sinistra tradizionale ha considerato come non centrale, al limite come questione tattica, mai strategica, non ha mai dato ad essa un valore in sé, reale. Quindi, anche questo è un filone interessante.

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