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INTERVISTA A GIANCARLO PABA - 7 SETTEMBRE 2001


Nella sua intervista Alberto Magnaghi ha messo in grossa evidenza come la tradizione della sinistra non ha mai criticato lo sviluppo, questo è per essa sempre stato considerato quello dato ed esistente, tutt'al più da gestire al posto dei capitalisti. Secondo te, quanto questo discorso che fai rispetto all'innovazione nello sviluppo locale può essere radicalmente altro rispetto allo sviluppo complessivo, e quanto invece entra in un rapporto di corelazione per cui il basso innova l'alto e l'alto comanda il basso, in una certa gerarchia sistemica?


Proprio in questi giorni, per esempio, stiamo discutendo all'interno del nostro gruppo di ricerca: per una parte dei ricercatori una parola magica per far capire quanto si è cattivi è "antagonista". La parola antagonista non mi piace, proprio etimologicamente, per anta e per agonismo messi insieme. Perché uno dice antagonismo? Perché capisce che con agonismo sono duro, e con anta sono contro: sono contro e sono duro, il che vuol dire sono contro, non accetto nessuno compromesso e picchio nel caso che capiti. Che questo avvenga non mi provoca nessun problema di coscienza, figuriamoci, il mondo è così complicato e così duro che ci si immagini se mi può provocare dei problemi di questo tipo. Ma la parola non mi piace perché è il rovesciamento algebrico della realtà: l'antagonismo è il più che diventa meno e il meno che diventa più. E' proprio la connotazione dello sviluppo che rimane non cambiata: cioè, sono duramente contro quello che c'è, anche se non so per che cosa sono. Per cui io mi rifiuto che i miei ricercatori traducano insurgent con antagonista, perché in esso c'è un significato diverso: insurgent significa provare a vedere in contesti locali di innovazione se c'è possibilità di altro sviluppo. E' questo il punto. Finché sei antagonista sei vincolato ai parametri dello sviluppo. Faccio un esempio: ora pare che Fini voglia togliere le pensioni di anzianità e tu dici che non le devi togliere. Le pensioni di anzianità sono una stupidaggine pazzesca se qualcuno le analizzasse da un punto di vista di un'alternativa allo sviluppo: però, se analizzi il problema in una logica bloccata non puoi che dire di no, ed è giusto dire di no, perché non hai fiducia nella possibilità di inventare nuove relazioni tra biografia individuale e lavoro, la pensione dai 30 ai 35 ad esempio invece che ai 54 per sempre, oppure intervallare lavoro e autoformazione. Cioè, la sinistra tradizionale alla Bertinotti è insieme antagonista e prigioniera dello sviluppo esistente. In un modo che so dire solo in forma disordinata e incoerente, posso affermare che l'atteggiamento mentale che abbiamo io e Alberto (con molte differenze tra noi due peraltro) vorrebbe liberarsi di questo, vorrebbe non essere vincolato al no, al contro. E' questo vincolo che ci sta portando alla sconfitta. Insomma, il bertinottismo-cofferatismo è tremendo, perché non incontra i soggetti: ci vuole molto più senso del rischio. Il discorso ora andrebbe articolato, fatto con delle esemplificazioni, quella delle pensioni è la più provocatoria, ma si può dire per molte altre cose. Dobbiamo incontrare questi soggetti, dobbiamo incontrare i ragazzi di 19, 20 o 25 anni, quelli che vivono di lavori precari, dobbiamo incontrare queste persone, o gli stranieri, gli immigrati, i bambini, le donne. Dobbiamo incontrare questi soggetti, e quattro quinti della discussione politica non interessa, comprese pensioni, garanzie di tipo tradizionale, comprese molte cose su cui si fa barriera pensando che se la diga cede allora la situazione peggiora e faranno delle cose orribili. Ma le fanno ugualmente delle cose orribili, però così nel frattempo non abbiamo creato niente e tutte queste persone ci sfuggono, prendono altre traiettorie di autorealizzazione individualistica, isolata dalle questioni della realtà, di altre strade dello sviluppo; se le creano, alternative, da sé, senza che noi abbiamo incidenza su quei percorsi.

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