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INTERVISTA A TONI NEGRI - 15 OTTOBRE 2001


A proposito del progetto che può essere visto anche come scommessa, un altro limite dei percorsi operaisti sembra essere stato un certo appiattimento della politica sul discorso della forma organizzativa. Dunque, non si sono esplicitati gli obiettivi, non intesi come prefigurazione posta in astratto e dall'esterno, ma come grandi fini posti nell'interrelazione e nella verifica continua con la processualità del movimento; si è invece ridotto il problema alla ricerca di una forma che potesse essere adattata o contenere l'emergere della soggettivazione.


Mi sembra una critica corretta. Io ho un punto di vista pragmatico, forse perché sono sempre stato schizofrenico: da un lato potevo fare teoria, dall'altra, però, sono continuamente stato un militante, sono sempre stato dentro a queste storie, nel senso che mi sporcavo le mani. Certe volte anche da un punto di vista teorico cercavo di mettere insieme le cose, certe altre, invece, scrivevo d'estate "Marx oltre Marx" o su Spinoza, che non avevano nulla a che fare. Il nodo grosso è questo: la pesantezza del lavoro morto su quello vivo, il rapporto tra il progetto organizzativo realizzato dal comunismo internazionale e quella che era la nostra capacità invece di inventare una cosa nuova, e certamente ci sono stati dei grossi errori su questo. Però, non si può pensare ad una situazione in cui potessero vivere delle forme pure, e d'altra parte meglio i nostri errori che la mostruosità del trotzkismo tradizionale: questi qui hanno forse una posizione di sinistra corretta e tante altre cose, ma continuano a proporre lo stesso modello e di organizzazione e di progetto internazionale. Quindi, lì ci sono stati senz'altro degli errori. Penso ad una serie di compagni che hanno sempre sostenuto che, al di là della tematica dell'autonomia del politico, bisognasse riuscire a seguire meglio questo aspetto: io sono d'accordo fino in fondo sia sul progetto sia sulla critica, però in concreto mi sembra che non sia stata tanto la ripetizione della forma partito quella che ci ha bloccato, bensì il fatto di non essere riusciti a rendere politicamente efficace il passaggio dalla vecchia alla nuova composizione, nella quale eravamo fino al collo, nella prima e nella seconda, sentivamo la discrepanza. A questo punto addirittura mi chiedo se l'ipotesi di Tronti e degli altri non fosse cripticamente un tentativo di risolvere questo problema passando dall'altro lato; è evidente che il giudizio che io potevo dare allora come oggi è completamente negativo, è evidente che l'esperienza ha dato ragione ad una posizione esterna piuttosto che a una posizione interna, però c'è da dire che laddove si è riusciti ad attenuare il contrasto, perlomeno quel poco di continuità che c'è stata si è rivelata importante. Nel Veneto, per esempio, ciò è fuori dubbio: lo scontro tra linea picista e linea di movimento, anche se è stato fortissimo a livello alto (il processo 7 aprile è stato fatto lì e non altrove), a livello basso e sulla continuità in realtà è stato molto più attenuato. Ciò anche perché probabilmente le istituzioni del Movimento Operaio erano molto più deboli, addirittura i sindacati li avevamo creati noi: l'assurdo di questa storia, infatti, è che in realtà il sindacato nel Veneto l'avevamo creato noi a partire dagli anni '60, prima non c'era. Dunque, mi sembra che la questione che ponete sia corretta, però non vedo l'alternativa. Si prenda un compagno come Faina, che inseguiva questo problema di fare esprimere direttamente dal movimento la propria linea interna, e se ne fregava dei tempi: tuttavia, la realtà non marciava a questa maniera, dietro c'era un po' un'illusione di continuità, quasi ci fosse una sorta di forma formante all'interno del movimento; probabilmente questa c'era, però si scontrava con altre realtà. Faina ha finito per muoversi tra un quadro teorico situazionista e una pratica armata, una pratica dell'evento, in una situazione che era disperata. Sono stato 6 mesi con lui a Palmi, nel periodo in cui ha cominciato ad ammalarsi, erano momenti terribili. In più c'erano i brigatisti che continuavano a dire che faceva la spia, i carabinieri che lo chiamavano per fingere di farlo parlare, e si può facilmente pensare a cosa voglia dire in carcere chiamare fuori un detenuto 3-4 volte: tra gli uni e gli altri l'hanno massacrato. Mi ricordo che effettivamente era in questa situazione, adesso non voglio assolutamente attribuirgli nulla, ma la mia impressione è che lui sentisse fortemente questa terribile frizione. E poi le malattie arrivano sempre in certi momenti, questa sarà un'affermazione molto poca scientifica ma è così.

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