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INTERVISTA A TONI NEGRI - 15 OTTOBRE 2001


Ci interessa, quindi, approfondire il nodo della politica e del politico, intesi (usando le categoria del moderno) come gestione e come progetto di trasformazione. Quanto tale ipotesi può secondo te essere feconda? Sulla base delle analisi di queste esperienze trascorse, come si può oggi ripensare il nodo della politica e del rapporto movimenti-progettualità?


Che questo sia stato e sia il problema mi sembra ovvio. Io sarei molto prudente comunque, perché, quando si affronta questo problema, bisogna stare attenti a tenere presenti le condizioni nelle quali poi di volta in volta è riemerso il problema. Quando si dice che la caratteristica primaria dell'operaismo è di inserirsi in un movimento estremamente accelerato di ingresso dell'Italia nel regime fordista e quindi di fatto di riuscire a criticare e ad anticipare le categoria del nuovo periodo rispetto al Movimento Operaio, bisogna tener presente che questa velocità è continuata. Ed è fuori dubbio che uno dei più grossi guai che abbiamo avuto negli anni '70 è stato il fatto che le formazioni armate, i BR per esempio, non si sono minimamente rese conto che il movimento era altrettanto veloce, e che quindi la difesa e la resistenza dell'operaio-massa doveva praticamente organizzarsi a fronte di una nuova composizione e dunque di un nuovo progetto politico. Quella che è la trasformazione che è incominciata negli anni '70 oggi è in atto interamente, e quindi anche su questo bisogna stare molto attenti: quando si dice far politica, cosa vuol dire? Come al solito, malgrado tutto io non sono mai stato un estremista, sono sempre stato un uomo di "centro", e non solo per scherzo. Per esempio, quando sono uscito di galera dopo essere tornato dalla Francia, mi sono trovato con questi vecchi compagni romani di Luogo Comune che insistevano sulla dimensione del politico. Ma la netta impressione è che non considerassero due cose: da un lato certo bisogna cercare di esprimere un programma, che sia perlomeno minimale; ma dall'altra parte bisogna tenere presenti quali sono i movimenti, le rotture e soprattutto i tempi, la temporalità generale di questa situazione. Credo di non essere riuscito a lavorare con loro fondamentalmente su questo, non erano piccole storie relative al fatto che ci si riferisce agli uni piuttosto che agli altri, quanto invece il problema che loro secondo me non sanno fare politica, non perché non producono programma, ma perché non mettono i programmi in relazione ai tempi di maturazione del movimento. E questi tempi di maturazione del movimento non sono semplicemente tempi di maturazione organizzativa, ma sono assetti e rapporti interni; gli eventi sono poi quei momenti nei quali hai come la cartina di tornasole, la metti dentro e ti accorgi che le cose sono cambiate. Si pensi, per esempio, al rapporto tra il movimento sociale e gli operai di fabbrica: c'è stata una fase in cui i due termini si sono incontrati. Oggi è divertente che anche un riformista classico alla Bergamaschi, al quale ho parlato uno o due mesi fa, dice: "non c'è niente da fare, i nuovi assunti in Fiat sono molto più simili al movimento che ai vecchi operai". Quindi, la situazione si è rovesciata: la cosa divertente è che il movimento di Seattle ha rivelato quello che già si poteva senz'altro capire. Allora, il problema di battersi per il salario garantito, per il reddito di cittadinanza, per riempire il programma con questi punti, è una cosa che puoi fare nel momento in cui hai interamente questa dimensione. Secondo me, la questione è molto semplice e su questo resto operaista: non è il programma che configura il movimento, ma è il movimento che configura il programma. Su questo non ci sono santi, tanto più oggi, dove veramente un luogo di avanguardia è sempre più difficile da trovare, esso è una dinamica interna. Non c'è più luogo di avanguardia: nella misura in cui si intellettualizza, la forza-lavoro si riappropria delle capacità di direzione.


Qual è la differenza tra progetto e programma?

Sono parole, se ci si vuole mettere d'accordo chiamiamo programma un certo numero di affermazioni, "la terra ai contadini" e via di questo passo, nella tradizione era questo. Il progetto è il disegno, la tensione, il movimento. Poi bisogna capire da che punto di vista lo si guarda, perché si potrebbe vederlo in termini puramente evoluzionisti o invece altrimenti in termini bergsoniani, vitalistici, di tensione, o ancora futuristi. Quello che comunque è assolutamente centrale è vedere la forza che agisce il programma dall'interno del movimento. E' lì che nascono secondo me i veri problemi, che sono praticamente le cose che dite voi: soprattutto oggi, una volta che la critica del concetto di partito terzinternazionalista è stata fatta, probabilmente la grossa questione è vedere come si istituzionalizza il rapporto di forza. Istituzionalizzare un rapporto di forza non è certo l'ideale né l'obiettivo, però deve essere momento per momento una determinazione, qualcosa di preciso.

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